L'Atari e la Melchioni, intervista a Giovanni Capparella

di Andrea Pachetti

fonte: Topolino Libretto (1981)

Questo approfondimento vuole essere, da un parte, una parziale correzione agli errori che certa stampa generalista ha commesso in passato, parlando della storia di Atari in Italia. Dall'altra, proseguiamo nell'analisi dei primi distributori che hanno venduto videogiochi nel nostro Paese: dopo aver parlato dell'Audist, ci occupiamo adesso della Melchioni.

Troppo spesso ci si riferisce nei ricordi «all'Atari» come a una filiale dell'azienda americana, dimenticando del tutto l'apporto della società milanese, che fu l'importatore del noto marchio fino al 1983: fu solo allora infatti che venne creata l'Atari Italia, presentata a una conferenza stampa all'Hotel Principe Savoia di Milano, il 20 maggio di quell'anno.

Per ovviare a questo e ripercorrere i primi passi della console VCS nel nostro Paese, presentiamo un'intervista a Giovanni Capparella, product manager per la divisione videogames e home computer della Melchioni durante i primi anni Ottanta; secondo le parole della rivista Computer Games, colui che si è occupato «in prima persona del lancio dei prodotti Atari in Italia».

Prima di augurarvi una buona lettura mi permetto una piccola digressione, e cioè festeggiare grazie a questo nuovo contributo le 50.000 visualizzazioni: un risultato che può sembrare apparentemente piccolo ma che, dal mio punto di vista, è da ritenersi un traguardo importante per un sito come questo, che si occupa di un tema davvero di nicchia.

fonte: Radiocorriere TV (1980)

La Melchioni è stato il primo importatore dei videogiochi e della console Atari, con lei come product manager. Mi può dire qualcosa, a grandi linee, sul come si svolsero i primi contatti con la casa madre americana e come mai la Melchioni decise di entrare in questo mercato, allora rivoluzionario per l'Italia?

Sono entrato in Melchioni nel febbraio del 1980 e l'allora Cavalier Melchioni, padre dell'attuale titolare Sig. Armando, mi assunse e mi mise di fronte ad una scelta: o seguire la gamma audiovideo dei prodotti importati dal Far East e marchiati Irradio (in quel tempo seguiti da un vecchio dirigente, che di li a poco sarebbe andato definitivamente in pensione), oppure occuparmi di un nuovo prodotto che il figlio Armando aveva visto in uno stand della nascente Atari al CES di Las Vegas e del quale era rimasto colpito.

Scelsi senza alcun dubbio questo nuovo prodotto, dopo la descrizione che mi fu fatta e dopo aver visto la campionatura che nel frattempo era arrivata in Italia, del quale era facile intuire la rivoluzionaria novità: poter cambiare giochi attraverso una console che permetteva di giocare in singolo o in coppia, con una miriade di videogame e diversi gradi di difficoltà. Inoltre i giochi erano a colori, molto più interessanti e articolati rispetto ai grigi Pong allora in vendita.

Per me si trattava di una rivoluzione, iniziava una nuova era: quella dei giochi con un'alta interattività che metteva alla prova le capacità dei giocatori. Ne ero davvero entusiasta, ed emozionato al pensiero di aver avuto per primo tra le mani un'opportunità del genere, secondo me irripetibile: commercialmente parlando era una bomba!

Tratto da Computer Games n. 3, fonte: Retroedicola

In che modo avete elaborato il lancio del nuovo VCS nel nostro Paese?

Insieme al Sig. Armando ci impegnammo con Atari a distribuire la console in esclusiva in Italia e cominciai a "preparare" il prodotto, mi spiego meglio: così come era distribuito in America non poteva funzionare da noi, per una alimentazione diversa e per una gamma di giochi che era adatta al nostro mercato solo in parte. Per esempio il gioco del baseball non era molto conosciuto in Italia e non sarebbe stato capito, così come alcuni altri. Dovevano essere selezionati quelli più adatti (fui aiutato in questa scelta dal parere di alcuni ragazzi), bisognava tradurre i libretti delle istruzioni e quindi creare una politica di vendita che ci permettesse, con un'adeguata campagna pubblicitaria, di sfruttare il periodo più favorevole dell'anno e cioè quello che va da settembre a dicembre.

A giugno andai al CES di Chicago e conobbi i dirigenti della Atari. La società non era stata costituita da molto ed era formata da una cinquantina di dipendenti che, nel giro di due anni, sarebbero diventati 8.000 e avrebbero creato in tutta Europa e negli States una catena di distribuzione con partner esclusivi; le vendite crescevano ogni anno a livello esponenziale e l'Atari divenne un fenomeno mondiale, un vero miracolo americano; nei suoi laboratori segretissimi della Silicon Valley esperti in programmazione sembravano creare ogni giorno nuovi giochi da lanciare sul mercato.

La Società Melchioni avrebbe sfruttato, per la distribuzione del nuovo prodotto, la rete di vendita delle sue agenzie che già operavano in relazione al rasoio Philips, venduto in esclusiva presso i negozi di elettrodomestici. Se le vendite fossero andate bene la cosa sarebbe continuata, altrimenti amen. E le vendite andarono a gonfie vele: l'acquisto medio era di una console con almeno 2/3 cassette (una era già inclusa nella confezione) per un valore di circa 500.000 lire. Vendemmo 5000 console nel solo mese di dicembre con un fatturato di 2,5 miliardi! Allora si trattava di molto denaro. Tra i giochi più venduti c'erano Space Invaders, Far West, Chess e altri ancora.

fonte: Radiocorriere TV (1980)

Come mai così tante cartucce gioco (ben 38) furono presentate contemporaneamente per il lancio italiano? Non fu un grosso rischio d'impresa? L'Atari americana stessa, quando uscì con il VCS nel 1977, ne offrì un numero assai inferiore...

Al CES di Las Vegas L'Atari si presentò con circa una cinquantina di cassette ed era gioco forza che noi distributori approfittassimo di questa grande varietà per vendere il maggior numero di console, e di conseguenza anche più cassette. Con i limiti di accettazione del mercato italiano, come ho già spiegato, cercai quindi di ordinarne il più possibile: per non rischiare, le maggiori quantità erano concentrate sui giochi che certamente avrebbero avuto il maggior consenso, mentre per gli altri giochi le quantità erano molto più prudenziali e quindi con rischi di impresa ridotti.

I clienti che Melchioni aveva consolidato avrebbero acquistato pochi esemplari di ogni gioco per poter approntare le vetrine ed essere pronti a soddisfare le richieste, sicuramente non elevate, di chi poteva permettersi l'acquisto di tutta la gamma, mentre per quei 4 o 5 giochi più accattivanti le quantità erano sicuramente più consistenti.

L'Atari stessa valutava dopo quasi due stagioni di vendita quale poteva essere l'assorbimento di ogni mercato e ci forniva delle indicazioni di massima che, devo ammettere, erano abbastanza azzeccate.

Nelle prime pubblicità della Melchioni i giochi vengono presentati con dei nomi tradotti in italiano (Space Invaders diventò "Invasione dallo spazio", Combat "Combattimento" e così via), mentre poi sui manuali veniva mantenuto il titolo originale, come mai? Immagino che i videogiochi provenissero direttamente dalla casa americana, così come pure le confezioni e i manuali stessi...

Le cassette arrivavano dall'America con l'imballo originale uguale per tutti i paesi, in Italiano c'erano solo i libretti di istruzione, stampati con le traduzioni da noi fornite.

Nella pubblicità a cui lei fa riferimento anche i titoli furono tradotti in Italiano, ma solo nell'elencazione, perché cosi volle la nostra agenzia pubblicitaria: temeva che mettendo i titoli originali presenti sulle confezioni i ragazzi e i loro genitori non avrebbero compreso immediatamente quale sarebbe stato il contenuto del gioco e quindi sarebbe stata una pubblicità con minor impatto. Personalmente non ero di questo parere, anzi pensavo che i titoli originali avrebbero avuto più presa sui ragazzi, perché maggiormente incuriositi.

Visto che il lancio del prodotto Atari ebbe un esito molto positivo, quale fu la strategia successiva di Melchioni?

La società mi diede l'ok per creare una struttura di vendita dedicata esclusivamente all'Atari: assunsi sei persone, di cui tre erano promotori vendite, due per l'amministrazione delle stesse e una segretaria. Con l'agenzia pubblicitaria della Melchioni preparammo la campagna per l'anno 1981 e creai la politica di vendita promozionale mirante a distribuire più console possibili: infatti solo con la loro distribuzione si poteva dare sviluppo alle vendite delle cassette gioco, il vero obiettivo e affare determinante del business.

Per dar luogo a tutto ciò era necessario una forza vendita propria e dedicata, da qui la ricerca e creazione di una rete di agenti operanti in tutta Italia, distinta dalle vendite dei rasoi Philips. Nel giro di un mese trovai dieci agenti plurimandatari ben radicati sul territorio nel canale elettrodomestici e ridussi il costo della console ai negozianti.

fonte: Radiocorriere TV (1981)

Fu creato anche il Club Atari, giusto?

Sì, diedi vita al Club Atari, i cui soci erano gli utilizzatori finali che, inviando la garanzia del prodotto con i loro dati, avrebbero ricevuto un giornaletto nel quale venivano messi al corrente delle nuove uscite dei giochi e presso quale punto vendita le avrebbero trovate disponibili.

Sempre presso il negoziante avrebbero avuto l'opportunità di iscriversi al "contest" (gara di abilità) che si sarebbe tenuto nella loro città: infatti durante quell'anno i contest furono molti, in varie regioni italiane. I ragazzi ne erano entusiasti, come pure i genitori orgogliosi dei punteggi ottenuti con il gioco in quel momento più in voga, Space Invaders. Nacquero così i primi campioni di videogiochi che, distintisi a livello locale, avrebbero in seguito partecipato alle selezioni dalle quali sarebbe scaturito il campione Italiano. Quest'ultimo partecipò al campionato mondiale indetto da Atari in America ma, pur classificandosi fra i primi, non vinse.

fonte: retro-gaming.it

Parlando dell'Atari americana, quali tipi di controlli operava nei vostri confronti e quali contatti periodici richiedeva?

Come dicevo le vendite procedevano bene, però per Atari erano sempre insufficienti. Le riunioni indette da Atari per tutti i distributori nei vari paesi erano molte, riunioni che seguivano a presentazioni fantascientifiche che in quel periodo si potevano vedere solo in America: erano effettuate con multi proiettori che creavano effetti speciali. In tali occasioni venivano presentati i nuovi giochi e i risultati delle vendite di ogni distributore, in modo da metterci in gara gli uni contro gli altri e aumentare le vendite globali.

In effetti io uscivo da quelle riunioni frastornato e stupito dai risultati di altri paesi, ma comunque caricato come una molla e pieno di entusiasmo e di idee da applicare al ritorno in Italia; era l'effetto marketing con il quale gli americani avrebbero rivoluzionato il mondo delle vendite. La sensazione di far parte di un grande progetto veniva rafforzata anche dalle faraoniche cene eleganti e gli spettacoli in ambienti esclusivi organizzati per i distributori da Atari in occasione del CES di Chicago in giugno e a gennaio a Las Vegas: i padiglioni Atari in fiera erano i più affollati e rappresentavano la vera novità del momento.

Per far fronte alle richieste numeriche di Atari, quali nuovi canali di vendita avete esplorato?

Be', bisognava inventarsi qualcosa per incrementare le vendite. Coinvolsi così un altro canale, quello dei negozi di giocattoli, che però avevano un problema: l'indisponibilità di un televisore che gli permettesse di presentare Atari. Il televisore (Irradio) glielo avrebbe così fornito Melchioni in comodato d'uso con il primo ordine di impianto. Dovetti recarmi a Torino e concordare con la Rai un canone ridotto, pagato dai negozianti, altrimenti l'operazione sarebbe costata troppo.

Interessai il gruppo Giraffa che riuniva la maggior parte dei negozianti e le vendite partirono alla grande; un altro canale che attivai fu quello delle vendite promozionali, cioè utilizzare la forza di attrazione di questo gioco per promuovere la vendita di altri prodotti: il primo risultato fu una vendita di 1000 console con un congruo numero di cassette al gruppo farmaceutico Angelini di Ancona, che regalava ai farmacisti il videogioco Atari per i loro figli dietro un acquisto dei loro prodotti. Un ulteriore canale che intendevo coinvolgere era quello delle cartolerie, ma non ne ebbi la possibilità.

Quali furono dunque i risultati del periodo 1981-1983 e come avvenne il passaggio dei diritti dalla Melchioni alla Atari Italia? Ignoro se la cosa sia stata indolore oppure no, ma se nei limiti del possibile può chiarirmi qualcosa su questo punto gliene sarei grato.

Il 1981 si concluse con successo e il fatturato fu di 12 miliardi di lire, nel 1982 il fatturato fu di 18 miliardi e la programmazione per l'anno successivo sarebbe stata di 25 miliardi che sicuramente avremmo raggiunto, ma a metà anno l'Atari decise di subentrare direttamente e non ci rinnovò il contratto annuale di distribuzione; in che termini la società concluse questo accordo con Atari non mi fu dato di sapere.

Le ragioni che ci presentarono furono che le loro aspettative di vendita erano molto superiori e che quindi avrebbero fatto a meno di un distributore nazionale promuovendo le vendite per loro conto; crearono una agenzia a Milano e mi proposero di passare dalla loro parte. Rifiutai, considerando il loro modo di agire irriconoscente per quanto era stato fatto e per i risultati ottenuti dalla Melchioni: in circa tre anni, aveva investito molto su Atari (fiere, contest, pubblicità tv e radio e riviste specializzate) e ora che si trattava di raccogliere i frutti più consistenti di questo lavoro crollava tutto improvvisamente e inaspettatamente. Eravamo anche nel pieno di una campagna pubblicitaria che mirava a far conoscere L'Atari a tutti e così fu.

Avevamo anche un primo concorrente, l'Intellivision della Mattel, che proponeva in una campagna pubblicitaria in contemporanea con noi e, per la prima volta in Italia, uno spot comparativo che confrontava la definizione dei loro giocatori nella cassetta del basket con la stessa cassetta gioco di Atari. Facemmo causa e la vincemmo, anche se l'effetto che Intellivision si era preposto era comunque raggiunto, quello di presentare un gioco più definito e quindi più divertente. Era iniziata la sfida del futuro: la maggior definizione dei giochi per avvicinarsi il più possibile alla realtà. Comunque L'Atari rimaneva leader di mercato, data la grande varietà di giochi che proponeva in alternativa al concorrente.

In quel fine anno non furono pochi i problemi che la Nuova Atari ci creò, infatti ridussero in prezzo della console costringendo la Melchioni a rivalutazioni dello stock nei magazzini dei clienti: questi, pur non avendo forti giacenze, minacciavano il blocco degli acquisti degli altri prodotti elettronici della Melchioni nel caso di mancata rivalutazione al nuovo costo al pubblico deciso da Atari.

Si parla quindi del passaggio dalle 385.000 lire di Melchioni alle 299.000 di Atari?

Sì, le confermo sia il prezzo di lancio che il prezzo di riduzione operato da Atari Italia.

L'interesse di Melchioni per quanto riguarda il mondo dei videogiochi non si esaurì comunque con Atari, poiché si occupò di importare il computer SC-3000 della Sega, oltre ai joystick della Wico e i videogiochi della Xonox. Vorrei sapere se questo interesse fu contemporaneo o successivo all'Atari e quali tipo di risultati ebbero questi prodotti sul territorio italiano.

Le vendite dei joystick della Wico furono promosse alla fine del periodo di distribuzione del prodotto Atari: i prodotti Wico facilitavano non poco lo svolgimento dei giochi. Ci fu anche un tentativo di vendita delle cassette Xonox, che erano compatibili con la console VCS, ma il lancio non fu supportato con una adeguata campagna pubblicitaria e la cosa non ebbe seguito, dati gli scarsi risultati di vendita.

fonte: museo-computer

Avendo comunque messo in piedi una organizzazione di vendita non ci potevamo fermare lì e quindi bisognava trovare un sostituto di Atari; nel frattempo nelle sale da gioco, le famose “Arcade”, erano comparse da tempo le prime postazioni di videogiochi dedicati ad un unico tema come la formula uno, simulatori di volo e altri. La definizione e l'andamento del gioco erano molto più accattivanti e coinvolgenti dei videogiochi casalinghi e inoltre interessavano un pubblico molto più vasto: il principale fornitore di queste postazioni di gioco aveva il marchio Sega.

Insieme con il Sig. Armando andammo quindi in Giappone a visitare la società Sega Enterprises e tornammo in Italia con un contratto di distribuzione esclusiva dell'SC-3000, che aveva una definizione maggiore rispetto al VCS grazie a dei chip di memoria più potenti contenuti sia nell'hardware che nelle rispettive cassette. Mi preparai quindi alla distribuzione di questo nuovo prodotto con una campagna pubblicitaria che sarebbe iniziata in ottobre, cioè all'inizio dell'importantissimo periodo delle vendite natalizie.

Purtroppo nel settembre del 1984, a seguito di un incendio nei magazzini Melchioni, vennero distrutte le scorte dei rasoi Philips pronte per le forti vendite di fine anno. Questo evento costrinse la società a rinnovare le ordinazioni dei prodotti perduti, con un notevole sforzo economico e finanziario che portò alla riduzione e, nel mio caso, all'annullamento degli investimenti sui nuovi prodotti e le loro campagne pubblicitarie per il lancio sul mercato. In questo modo l'SC-3000 abortì in pratica prima di nascere e tutto fu annullato. Ci fu comunque una distribuzione di qualche centinaio di pezzi, che però, non essendo granché supportata dalla pubblicità, rimase un fatto singolo e non ripetibile.

Nel frattempo sul mercato italiano erano apparsi i primi computer di fascia economica. Melchioni si interessò alla loro distribuzione?

Erano apparsi i primi Vic 20 della Commodore, la società americana, che venivano presentati come home computer e non soltanto come videogiochi e che promettevano ai genitori di far diventare i loro ragazzi dei geni dell'informatica! In realtà, data la poca memoria disponibile, introducevano solo all'uso di una tastiera con poche funzionalità, ma il dado era tratto e cominciava così una nuova era: quella dei PC casalinghi che, oltre a disporre di giochi, insegnavano i primi passi dell'informatica.

Presto il Vic 20 venne sostituito dal Commodore 64, più potente e più ricco di funzionalità. Questi computer erano venduti da diverse società e non in esclusiva da un solo distributore. Nonostante ciò, visti i successi di vendita, la Melchioni mi incaricò di occuparmene e per circa un anno (il 1985), grazie a un accordo con la Commodore Italiana, anche la Melchioni propose questi prodotti assieme ad altri distributori.

Pur essendoci grande richiesta questa vendita non era però priva di problemi, infatti non si era mai sicuri di avere acquisito un'ordinazione definitiva: i negozianti infatti, dopo aver fatto l'ordinazione, la tenevano sospesa in attesa di consultare gli altri distributori per confrontare le quotazioni; alla fine, come in un'asta, vinceva chi proponeva il prezzo più basso.

La Commodore si preoccupava unicamente del rispetto del prezzo al pubblico e non certo dei margini di guadagno dei distributori i quali, a seconda della struttura organizzativa, praticavano delle quotazioni sempre più al ribasso rispetto ai concorrenti. La Melchioni sopportò la situazione fino a un margine di guadagno che ritenne minimo e oltre il quale non era più remunerativo vendere: dopo poco si tirò fuori dalla bagarre.

Riferimenti bibliografici:

(omissis, chiedere in privato via e-mail)

Commenti

  1. Ciao Andrea!

    Articolo molto interessante che, stranamente, mi ero perso...:(

    Anzi, se non ti dispiace, vorrei segnalarlo sul forum del mio blog nella sezione Atari 2600 :)

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    1. Dispiacermi? Figurati, al contrario! Segnalalo pure, grazie.

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  2. Ciao Andrea, Leggo solo adesso questo splendido articolo. Gran bel lavoro. Sei sempre bravissimo.

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    1. Grazie Simone, sono contento che questa intervista ti sia piaciuta: dal mio punto di vista, per quantità e quantità di informazioni, si è rivelato uno dei contenuti più interessanti che mi è capitato di raccogliere nel corso di questi anni ed è stato bello per me poterlo proporre ai lettori. Come avrai notato il blog è ormai fermo da qualche mese, ma spero (prima o poi) di poter riprendere a pieno regime. Un saluto.

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