"Il video-tennis è ormai preistoria" (La Stampa, 31 gennaio 1982)

di Andrea Pachetti

Lo scenario descritto dalle varie edizioni dell'ENADA nel corso degli anni Settanta, terminava con il proliferare di Space Invaders e dei suoi cloni durante il 1979, a scapito degli elettromeccanici e delle forme "classiche" del videogioco. Le conseguenze di tutto ciò sono descritte con efficacia da questo articolo (siamo all'inizio del 1982), che fornisce anche un minimo di prospettiva storica ai dieci anni di cambiamenti avvenuti in quello che poteva effettivamente essere definito un nuovissimo settore dell'intrattenimento.

L'inglese è d'obbligo (anche se molti apparecchi sono di produzione italiana), l'aspetto fantascientifico pure. I vari "Qix, Stunt Cars, Invasion, Venture, Super roadchampions, Starflight" brillano di luci psichedeliche che si spengono e riaccendono all'istante. Gemono, stridono, urlano, sibilano. E alla fine sembra che divertano anche, a costi non troppo elevati.

In questa lista di videogiochi colpisce in particolare la citazione di Stunt Cars, uno dei videogiochi della ditta Rumiano, presente anche nella fotografia a corredo dell'articolo.

Sono passati circa dieci anni da quando nei bar e nelle rare "sale giochi" fece la sua comparsa il "video tennis", il tennis televisivo. Senza racchette né palle, e senza rete, si giocava in due (o da soli) schiacciando due pulsanti: un puntino luminoso, la palla, rimbalzava avanti e indietro, sullo schermo, respinta da due righe perpendicolari, le racchette, comandate dal pulsante. Ogni punto, una nota; ogni sbaglio, un lamento sonoro.

L'attuale sviluppo dell'elettronica fa sembrare adesso quel primo "video game" una reliquia da museo. Come altri sopravvissuti, tipo flipper o calcio-balilla, il "video tennis" resiste in qualche bar di periferia o nelle bettole di paese, testimone di un'epoca che appartiene alla preistoria dell'elettronica per diletto. Ora sul video luminoso il tennis ha fatto spazio ai temi di Odissea 2001 e delle guerre stellari, con battaglie d'astronauti e labirinti irti di insidie, di piste da corsa e trabocchetti a ripetizione.

Il giornalista fa quindi risalire al 1972/73 l'arrivo del videogioco nel nostro Paese. Dal punto di vista linguistico, è da notare in particolare il frequente ricorso alle virgolette per le parole ancora non entrare nel linguaggio comune del periodo: da "sala giochi" fino a "video game", oltre a "video tennis", il termine che viene usato per definire tutti i coin-op di tipo Pong. Astronavi, labirinti, piste e trabocchetti sono i temi dei nuovi videogiochi degli anni Ottanta.

Dice Filippo Bruschi, amministratore di una nota ditta di noleggi: «Le nostre macchine sono una sfida all'intelligenza e alla prontezza di riflessi. Per questo divertono: perché il giocatore si sente in gara con loro e con chi le ha ideate». Chi sono i giocatori? «Quasi tutti: l'adolescente, e chi non sa come far passare il tempo. Ma anche il professionista in cerca di un po' di svago».

Confermano i titolari della "Divert One" la prima sala da giochi aperta in città: «Escono dal cinema o da ballare e si concedono una giocata: lui contro lei, o su due macchine separate. A lui, in genere piace tutto ciò che sa di guida e di guerra: i "war games". Lei preferisce i giochi di fantasia, scenografici, con gente che si arrampica seguita dai fantasmi, o l'uomo che lotta contro il bruto King Kong».

È stato impossibile trovare riferimenti storici sia nei confronti di Bruschi (amministratore di quale ditta? Forse proprio della già citata Rumiano?), sia della sala giochi torinese. Interessante vedere come già nel 1982 ci si ponessero interrogativi sulle "questioni di genere" in relazione alla fruizione dei videogiochi. Oltre a questo, il pubblico dei videogiochi appare più variegato rispetto all'immaginario tipico che ci è arrivato di quell'epoca, rivelando un insieme di fruitori più adulto.

Nota: è stato possibile identificare (vedi commenti) la sala giochi come "Divertone": questo mi ha permesso di trovare diversi riferimenti sul quotidiano La Stampa, datati rispettivamente 1980, 1984 e 1986. Dato che nel 1984 si parla di "nuovo Divertone", al contrario del precedente "Divert-One", è da supporre forse un cambio di gestione o rinnovo dei locali. Chi fosse invece il "campione italiano" da sfidare nel 1986 resta per ora un mistero.

Non è vero, quindi, che i video uccidano la fantasia, mortificando la mente. Spiega lo psicologo, professor Zanalda: «Sviluppando certe facoltà logiche, sono indubbiamente positivi. Che male c'è se la gente ci si diverte anche? Negativa non è la macchina, ma l'uso che se ne fa. In un'epoca di più diffuso linguaggio scientifico-matematico – aggiunge Zanalda – queste macchine possono anzi facilitarne la comprensione».

Sparsi nei bar del centro, in numero non superiore a due per ogni locale, come vuole la legge, i "video" trionfano nella rare "sale giochi" cittadine (a Torino, neanche una decina; a Rimini, per fare un esempio, oltre 130). Ma non hanno ancora raggiunto, come in certi Paesi, gli alberghi, la hall dei cinema, gli aeroporti.

Come mai le sale sono così poche? «È un pregiudizio diffuso – dice la gerente del "Divert One", il primo (1980) e più noto centro giochi elettronico di Torino – Si dice che queste sale sarebbero frequentate solo da sbandati e malavitosi. Non è vero. Al racket interessano settori ben più redditizi del nostro, per il semplice fatto che da noi non si gioca a soldi: le "slot machine", le macchine mangiaquattrini, funzionano in America. Qui sono vietate».

Commenti

  1. > È stato impossibile trovare riferimenti sia nei confronti di Bruschi (amministratore di quale ditta, forse proprio della già citata Rumiano?), sia della sala giochi torinese

    Le ricerche online mi appassionano.. mi son messo di buzzo buono.

    Non ho trovato purtroppo alcun riferimento a tale Bruschi della ditta Rumiano.

    Per quanto riguarda invece la sala giochi torinese, ho trovato diversi riferimenti in vari forum e chat che puntano ad un locale arcade chiamato Divertone (tutto attaccato). Stava nella zona di Porta Susa, precisamente al primo piano di un palazzo dove adesso c'è una scuola di ballo (!). In realtà, attualmente in zona ce ne sono due a poca distanza dalla stazione; solo una però è al primo piano di un edificio e anche nelle foto recenti non è difficile immaginare tante macchinette lungo le pareti :). Diverse fonti descrivono la Divertone come tranquilla e ben frequentata, così come altre (es. Playtime, vedi sotto), mentre ad esempio la Top Games di via Galliari (Porta Nuova) era qualificata come poco raccomandabile. Si noti comunque che entrambe le sale erano vicine alle stazioni ferroviarie, dalle quali ogni mattina usciva la marea degli studenti pendolari e/o di quelli che marinavano la scuola (io l'ho fatto una volta sola, confesso, per andare in treno dal paesello alla sala giochi del capoluogo).

    Chicca nella chicca, eccovi un articolo di ben tre pagine sul numero 19 di Videogiochi. "Playtime: i campioni di Torino" è il titolo, e vi si apprende che nell'autunno del 1984 due sale giochi all'ombra della Mole organizzarono il "primo campionato piemontese di videogiochi". Una era proprio la Divertone, l'altra la Playtime. Eccovi il link dell'articolo: https://archive.org/details/Videogiochi_N.19/page/n51/mode/2up/search/divertone

    Non so se qualche torinese ci sta leggendo e può confermare o smentire i risultati di questo mio sfruculiamento nei meandri del web. Che ricordi però, le sale giochi!

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    1. Già, avrei dovuto pensare a consultare la "bibbia" dei videogiochi: ho notato che sulla rivista della Jackson ci sono altri riferimenti anche in un paio di numeri precedenti. Ho evidenziato nel post anche il cambio di nome da "Divert-One" a "Divertone", che risulta da La Stampa.

      Per quanto riguarda Bruschi, il fatto che sia legato alla Rumiano è solo una mia ipotesi, poteva trattarsi anche di una delle molte altre ditte di noleggi della zona del torinese. L'unica informazione che possiedo è che era diventato delegato Sapar nel 1976.

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