Giochiamoci il futuro (1983)

L'articolo qui presentato fa parte dell'Archivio Storico di Quattro Bit ed è tratto dal settimanale Azione Anno XLVI n. 1 (6 gennaio 1983) p. 15, fonte: Archivio digitale Sbt

[Cercando informazioni sui video che Claudio Pozzoli realizzò per la Televisione Svizzera, mi sono imbattutto nell'eccellente archivio digitale dei quotidiani e dei periodici realizzato dalla Biblioteca cantonale di Lugano. Voglio dunque proporre ai lettori di Quattro Bit uno degli articoli più interessanti che ho reperito in questa banca dati, in relazione al tema dei videogiochi; scritto da Piero Selva (pseudonimo di Mino Milani) per il settimanale Azione della cooperativa Migros Ticino, il testo è capace di offrire, oltre alla solita panoramica sull'avvento dei videogiochi in Italia, alcune particolari e originali riflessioni sulla portata sociologica del fenomeno e il rapporto tra la modernità e il gioco tradizionale.]

Giochiamoci il futuro

Servizio di Piero Selva

Circa dieci anni fa nascevano in America i videogames, i giochi elettronici basati sul principio di funzionamento dei calcolatori e dei microprocessori, quegli elementi al silicio, della dimensione di una monetina e che possono contenere migliaia e migliaia di informazioni. Nati come "sottoprodotto" della sofisticatissima tecnologia elettronica spaziale, si rivelarono ben preso il gioco del futuro e un business colossale. Ideati in America, assemblati ad Hong Kong e in altri paesi dell'Oriente, trovarono subito sulla loro strada i Giapponesi che con gli "Space Invaders", i terribili marziani, diedero subito filo da torcere alle industrie USA del settore.

Nel '76 molte ditte elettroniche che lavoravano per la Nasa riconvertirono la loro produzione in seguito alla riduzione dei programmi spaziali. Attualmente ditte come la Atari e la Mattel Electronics dominano praticamente il mercato, anche se la Philips, la Hanimex e la Interton stanno entrando di forza nel settore. Sempre temibili i Giapponesi che possono contare su di una tecnologia avanzatissima. Il mercato è vasto, e solo agli inizi. Negli USA si sono spesi nell'ultimo anno 5 miliardi di dollari, che è il doppio di quello che si ricava dall'industria del cinema più quella discografica messe insieme. In Italia, nell'81, si sono spesi in videogames, sia nell'acquisto che nel gioco, ben 51 miliardi di lire, e gli italiani sono solo dei "principianti"!

È evidente che i videogames e l'ideologia del gioco che ci sta dietro non sono un fatto di moda passeggera. Sono troppe infatti le implicazioni che riguardano sia la tecnologia quotidiana, quella con cui ormai conviviamo ogni giorno, sia il modo di divertirci, di rilassarci e di dialogare con il "Grande Fratello" degli anni 2000, il computer, nelle sue applicazioni ludiche, militari, commerciali, scientifiche, "umane".

Dalle guerre ai fantasmi-laser: tutto a buon prezzo

Quanti tipi di videogames esistono? Praticamente il numero è illimitato, anche perché ogni giorno esce un nuovo modello di gioco. Si può giocare nei bar, e ormai quasi tutti hanno un videogioco, oppure si può comperare la "base", cioè il modulo da collegare al televisore, con relative videocassette, i cui prezzi variano, in relazione alla minore o maggiore complessità del gioco. Sale-gioco per i videogames ce ne sono ovunque e stanno nascendo ogni giorno, soppiantando le vecchie sale dei flipper e di tutti gli altri vecchi giochi elettromeccanici. Perfino alcuni cinema, soprattutto a Roma, sono stati trasformati in sale elettroniche! Gli affari, dicono i gestori, vanno a gonfie vele.

Ma il grande futuro dei videogames è in famiglia, in collegamento con la Tv, proprio perché la televisione, nel bene e nel male, è diventata il centro della famiglia e forse, in prospettiva, l'unico punto "caldo" della comunicazione, dello svago e, appunto, del gioco. D'altronde, anche la televisione ha subìto questo passaggio graduale. Da fruizione pubblica, nei suoi primi anni, in cui veniva vista nei bar, è quasi subito passata sull'altare casalingo, privatizzandosi e diventando oggetto indispensabile e "naturale" dentro le quattro mura.

Ma a che cosa giochiamo? Non è facile fare un elenco anche perché, come abbiamo detto, il mondo dei videogames è in continua evoluzione. Guerre spaziali, sempre gasatissime, labirinti pieni di insidie, partite di calcio, tennis, biliardo, basket, scacchi... È già in previsione un videogioco che ha come protagonista "E.T. l'Extraterrestre", il simpaticissimo mostro del film di Spielberg. Furoreggia negli Stati Uniti "Pac-Man" che ha già fatto guadagnare un miliardo di dollari alla giapponese Namco e alla Bally, la distributrice americana di questo gioco che consiste in una pallina gialla con una grande bocca aperta che divora tutti i puntini bianchi che incontra nel labirinto blu in cui abita. È continuamente inseguita d quattro fantasmi colorati e maliziosissimi. Se uno di loro l'acchiappa il destino di quella palla gialla e felice è segnato. Si affloscia su se stessa e piange, disperatamente ed elettronicamente.

Altro gioco di successo è "Crazy Kong". Si tratta di uno scimmione cattivissimo che tiene tra le braccia una bella principessa e cerca di sfuggire ad un omino, forse il principe azzurro in incognito, che tenta in ogni modo di strappare la bella dalle braccia del bruto. Come si vede alcuni di questi giochi tendono già ad "umanizzarsi" e ad acquistare spessore psicologico. Non sono più solamente piccole sagome geometriche in movimento, ma veri personaggi od oggetti molto simbolici, come la palla gialla tutta bocca che si nutre di puntolini bianchi, cioè di energia, mentre fantasmi maliziosi la inseguono forse proprio per punirla perché continua a mangiare energia, la stessa energia di cui sono fatti i fantasmi.

I videogames "primitivi", quelli con le classiche battaglie, cominciano già ad essere quasi superati. Ci si avvicina sempre di più a simulazioni complesse che catturano la nostra attenzione, i nostri riflessi ma anche la nostra psicologia più profonda. La fase successiva, non è fantascienza, sarà quella in cui ci troveremo di fronte a dei videogames veramente pensanti, quasi umani, con cui dovremo combattere non solo in velocità, ma dovremo usare anche il pensiero in quando anche "l'altro", a suo modo, è dotato di pensiero. E infatti si sta già lavorando ai videogames della "terza generazione", collegati non più al televisore, ma al "Personal Computer". Per ora il "Personal Computer" costa caro, ma si prevede, come è successo per gli apparecchi televisivi e le cineprese, di abbassarne notevolmente il prezzo.

Il "Personal Computer" ha vaste possibilità di impiego, in campi amministrativi, finanziari, come banca dati ma permette anche la costruzione di giochi sofisticatissimi e praticamente con varianti illimitate. È insomma un vero cervello elettronico molto complesso ma che, se programmato a dovere, sa anche giocare e far giocare.

È in gioco il futuro

Sebbene si tratti solo di un gioco, a cui si appassionano soprattutto i giovani e i giovanissimi, siamo di fronte ad un cambiamento radicale della società. Gli "esperti", come al solito, si sono divisi in denigratori ed estimatori. Tutte le innovazioni infatti hanno sempre, o quasi sempre, un aspetto negativo ed uno positivo. I denigratori denunciano la sostanziale povertà dei videogiochi, che non insegnano a pensare veramente e che favoriscono solo una continua tensione psichica senza sbocchi.

Rubano tempo e soldi e preparano le future generazioni ad un rapporto passivo sia con se stessi che con le macchine cibernetiche alle quali si finisce per delegare tutto, dalle scelte di un programma economico alle stesse scelte esistenziali. In America si prevede persino di usare un "Personal Computer" al posto dello psicoanalista. E già gli esami clinici computerizzati sono una realtà, con tutti gli inconvenienti derivanti dal fatto che solo un uomo può capire in tutte le sue sfumature un altro uomo. Un computer può aiutare, ma non può sostituire il giudizio di un uomo.

Piccole ribellioni al mondo dei videogames ce ne sono già state. Il sindaco di Bari ha emesso un'ordinanza che viene l'entrata dei ragazzi minorenni nelle 80 sale giochi delle città dalle otto alle quattordici, le ore di scuola. Sembra infatti che un numero sempre più alto di studenti bigi la scuola per correre nell'allettante mondo dei balocchi elettronici.

Anche le persone oltre i 35, secondo quanto ha rilevato un'indagine, non amano molto i videogames, e preferiscono ancora il vecchio flipper. Non sappiamo se per ragioni puramente nostalgiche o anche perché bisogna avere abilità manuali, bisogna saper spingere e tartassare il flipper ma con astuzia. O forse dipenderà anche dal fatto che i videogames sono effettivamente il gioco di tutti i "Jonas" di questo mondo industrializzato che avranno vent'anni o poco più nel 2000. Sono cioè i giochi di una generazione che molti stentano a comprendere, e a volte anche ad accettare.

Gli estimatori dei videogiochi invece ne vedono l'aspetto terapeutico. Sarebbero niente di più né niente di meno che gli strumenti del futuro, come lo è stata la televisione. I ragazzi quindi non farebbero altro, attraverso questi giochi, che prendere confidenza con quel mondo dell'elettronica e della computerizzazione che in un modo o nell'altro è ormai scritto nel nostro immediato futuro. Se ci sono eccessi, semplificazione, manie da videogames, dicono, le dobbiamo vedere come delle deviazioni che possono sorgere in qualsiasi attività umana, sia seria che ludica. Anche il gioco del biliardo può diventare maniacale e precludere qualsiasi altro interesse.

I fratellini del "Grande Fratello"

Nel "1984" di George Orwell esistono molte cose inquietanti e orribili. Nel suo famoso romanzo fantascientifico Orwell "immagina" una società autoritaria e schiavizzata che è continuamente sotto il controllo di videoschermi e in mano al "Grande Fratello", una figura umana misteriosa ed inafferrabile, ma che potrebbe anche essere la metafora umanizzata di un Grande Calcolatore Centrale, che tutto programma e prevede. In "1984" l'umanità è entrata in una nuova fase in cui tutti i pensieri e le azioni sono creati e guidati da questo "Grande Fratello" che possiede tutti gli strumenti tecnologici ed oppressivi di controllo e di dissuasione.

I videogames attuali cosa c'entrano allora? Sono, o potrebbero essere, i piccoli fratelli del "Grande Fratello"? Si ritorna allora a dar ragione ai pessimisti che vedono nei videogiochi un impoverimento delle facoltà umane e un'accettazione della superiorità delle macchine? Possiamo solo presentare alcuni problemi, non di più. Generalmente tutti i giochi hanno sempre avuto una carica fantastica che rimandava ad un mondo interiore nel quale si stavano muovendo ed agitando i grandi perché della vita di quel periodo di crescita. Come la sessualità, il potere degli adulti, la paura, il timore per la perdita dei genitori o per il loro distacco, la lotta o la gara per conquistare il diritto a diventare grandi, o ad imitare i grandi. I giochi elettronici probabilmente non distruggeranno le fiabe e gli altri giochi classici. Servono soprattutto ad una fascia intermedia, non più infantile, che sta entrando nel mondo adulto.

Il periodo della giovinezza e dell'apprendistato culturale e sociale sta diventando sempre più lungo, come hanno detto anche molti sociologi. La dipendenza dai genitori si allunga e si configura come uno strano limbo, per metà affettivo e per metà ribellistico. È forse questo periodo che il "Grande Fratello" cerca di catturare, giocando le sue carte elettroniche. Ed è quindi un periodo di apprendistato giocoso, secondo il suo "punto di vista", e anche il controllo di quel rito di passaggio dall'infanzia all'età adulta.

Il pericolo, ammesso che ce ne sia, sta proprio in questo ibrido. Il videogame è gioco infantile e adulto, tecnologicamente avanzato. Ma è anche e pur sempre il fantastico drago da distruggere o con cui misurarsi. Contemporaneamente però i videogiochi appartengono alla struttura portante della nuova società del computer.

Mentre i draghi delle fiabe e i giochi fantastici, con il passare degli anni, rientrano nell'inconscio e si trasformano, il computer e i videogiochi possono anche non essere più trasformabili dalla nostra psiche, perché sono gioco e vita, tutto assieme. Tanto che potrebbero allora diventare, veramente, non solo il "Grande Fratello" ma il grande inconscio collettivo, il sostituto della nostra fantasia e della nostra sensibilità.

Commenti

  1. Limite mio ma non colgo a cosa si riferisce quando parla di "Jonas", sì i giovani incompresi ma perché questo termine?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bella domanda, non ne ho davvero idea. Spero che, avendo pubblicato l'articolo, prima o poi quale lettore riesca a "svelare l'arcano"...

      Elimina
    2. Mistero risolto: https://it.wikipedia.org/wiki/Jonas_che_avr%C3%A0_vent%27anni_nel_2000

      Elimina
    3. Fantastico! Aggiungo subito il link all'articolo, grazie!

      Elimina

Posta un commento