Pac-Man va ad Harvard (1983)

L'articolo qui presentato fa parte dell'Archivio Storico di Quattro Bit ed è tratto dalla rivista Videogiochi n. 9 (novembre 1983) pp. 44-49, fonte: Retroedicola

[L'articolo cartaceo originale è stato sottoposto a una verifica intensiva, andando a correggere nella trascrizione digitale numerosi refusi, soprattutto in riferimento ai nomi degli studiosi citati.]

ATTUALITÀ

PAC-MAN VA AD HARVARD

I videogiochi hanno passato a pieni voti l'esame a cui li hanno sottoposti medici, insegnanti e psicologi. Ad Harvard, la scienza ufficiale riconosce il valore positivo dei videogiochi.

Lei cosa ne pensa dei videogiochi?

«Non credo facciano bene ai ragazzi».

«Non mi piace l'idea che mio figlio spenda soldi giocando a quelle macchinette».

«Tutto tempo rubato allo studio».

Non è difficile ascoltare risposte del genere quando si chiede ai genitori cosa ne pensano dei videogiochi. Ma non sono solo i genitori a osteggiarli. Diversi amministratori comunali, educatori e psicologi di tutto il mondo si sono dati da fare in questi anni a vietarli e a spiegarne con argomentazioni scientifiche gli aspetti deteriori.

Qualunque voce che si ergesse a difesa dei videogiochi veniva subito tacciata di sostenere interessi di parte (cioè gli interessi dei produttori) e quindi di mancare di obiettività scientifica.

Ma il mondo dei videogiochi ha segnato un importante punto contro i suoi detrattori il 22 maggio scorso all'Università di Harvard, la più famosa università americana. In quel giorno oltre 200 persone tra ricercatori, insegnanti, medici e studiosi di scienze sociali si sono riuniti per discutere seriamente di videogiochi. Il risultato della loro discussione è stato inequivocabile: i videogiochi sono uno strumento valido e positivo al servizio della scienza, della scuola e della società.

L'occasione da cui è scaturito questo proclama è stata una conferenza organizzata dall'Harvard Graduate School of Education (HGSE) che si intitolava "Video Games and Human Development: A Research Agenda for the '80s" (Videogiochi e sviluppo umano: un campo di ricerca per gli anni 80).

La conferenza ha sollevato più domande sull'uso dei videogiochi nei campi della riabilitazione medica e sociale e dell'educazione di quante ne abbia risposte, ciò nonostante rappresenta il primo riconoscimento ufficiale del valore positivo dei videogiochi e indica una strada da percorrere.

La ricerca in questo settore è infatti in una fase ancora primordiale, anzi, come ha detto il Prof. Ronald Slaby dell'HGSE, «la ricerca sui videogiochi è in procinto di nascere e noi siamo qui per assistere al parto».

Benché i partecipanti fossero al di sopra di ogni sospetto (ne nominiamo qualcuno tanto per impressionare eventuali scettici: David Brooks della Behavioral and Education Management Corporation; Edna Mitchell, docente del dipartimento educativo del Mills College; Sylvia Weir del laboratorio Logo del Massachussets Institute of Technology), qualcuno ha insinuato che i risultati della conferenza fossero determinati dal fatto che fosse sponsorizzata dall'Atari, la quale aveva donato 40.000 dollari all'HGSE per organizzarla.

In realtà, la conferenza è stata organizzata e diretta in modo autonomo da Inabeth Miller dell'Università di Harvard. Nelle sue intenzioni, la conferenza avrebbe dovuto essere aperta alla discussione, avrebbe dovuto essere uno spazio aperto dove dibattere opinioni divergenti o anche opposte sui videogiochi. Poi, in effetti, quasi nessun oratore li ha criticati. Semplicemente perché quelli che hanno condotto ricerche ed esperimenti con i videogiochi hanno rilevato che i videogiochi esercitano un'influenza positiva sui pazienti e gli studenti.

«Le poche ricerche condotte fino a ora sono estremamente positive», ha detto la Miller alla fine della conferenza.

Secondo i ricercatori, i videogiochi sono così utili proprio perché sono così accattivanti. Anche se vengono usati per la riabilitazione di un paziente o per insegnare a un bambino la destra e la sinistra rimangono sempre un gioco.

Gli studi presentati alla conferenza di Harvard hanno solo scalfito la superficie degli usi potenziali dei videogiochi. Proprio per questo gli organizzatori e i partecipanti si sono trovati d'accordo nel definire l'argomento videogiochi e comportamento umano un campo di ricerca per il futuro.

Ciò nonostante, le scoperte effettuate dai ricercatori che hanno condotto esperimenti con i videogiochi sono state considerate sufficientemente significative non solo per ispirare delle ulteriori ricerche ufficiali, ma anche per servire come guida ai produttori di videogiochi.

«È sperabile che quello che è cominciato qui influenzi l'industria dei videogiochi a cooperare col mondo accademico per cominciare a pensare insieme a sviluppare giochi commerciabili che siano positivi per i ragazzi» ha detto in chiusura della conferenza Inabeth Miller.

Videogiochi ha avuto l'opportunità di parlare con Robert Olton dell'Atari (vedi scheda a parte), uno dei partecipanti alla conferenza di Harvard. In questa conversazione esclusiva, il Dr. Olton ci ha esposto i temi dibattuti alla conferenza.

Siamo in grado di pubblicare un resoconto di prima mano sulla conferenza e sui temi che vi sono stati trattati. È un'intervista molto interessante che vi consigliamo di far leggere anche ai vostri genitori, sia che siano favorevoli o contrari ai videogiochi.

INTERVISTA A ROBERT OLTON

VG: Ci può illustrare lo scopo della conferenza?

OLTON: Lo scopo della conferenza era riunire ricercatori, scienziati, dottori ed educatori che hanno esplorato il potenziale dei videogiochi come importante strumento di apprendimento. La conferenza era divisa in quattro parti. La prima riguardava i videogiochi e il comportamento sociale. Ad esempio, cosa succede in una famiglia quando vi entrano i videogiochi. Aumentano i legami tra i componenti della famiglia o ciascuno gioca per conto suo? La seconda parte era intitolata videogiochi e medicina. La terza, videogiochi nell'educazione formale, cioè nell'educazione scolastica e la quarta verteva sui videogiochi e l'educazione informale, cioè sull'insegnamento come forma di ricreazione.

VG: Qual è stata la reazione dei partecipanti sull'uso dei videogiochi nel campo della medicina e dell'educazione?

OLTON: La reazione generale è stata di sorpresa per i risultati delle ricerche che hanno indicato così tanti utilizzi benefici dei videogiochi. Nel mio Paese i videogiochi sono al centro di molte discussioni. Spesso si dice o si sente dire che sono inutili e soltanto una perdita di tempo. Invece, praticamente tutti i ricercatori hanno scoperto qualche effetto benefico dei videogiochi.

VG: Può farci qualche esempio?

OLTON: Ad esempio, nella famiglia. L'effetto dei videogiochi è stato quello di avvicinare maggiormente i membri della famiglia, di farli parlare e socializzare di più l'uno con l'altro. Vorrei leggerle una citazione da uno studio presentato da Harvard che ho trovato molto interessante e che può aiutare a riassumere questo concetto. La frase è di una bambina, la quale sta parlando dell'effetto dei videogiochi nella sua famiglia: «Mio padre partecipa di più ora alla vita di famiglia invece di addormentarsi sul divano dopo cena. Giochiamo insieme con l'Atari e ci osserviamo e ci incitiamo a vicenda».

Un altro aspetto positivo messo in luce da questo studio è il rispetto che il figlio riesce a conquistarsi battendo il padre. Normalmente in un gioco l'adulto batte il bambino, qui invece si verifica spesso il caso in cui il bambino batte l'adulto in una gara regolare, acquistando così del nuovo rispetto.

In generale, l'effetto di un gioco in una famiglia è un effetto di socialità. Anche se sta giocando una persona sola, gli altri gli staranno attorno dando consigli e suggerimenti: fai così e fai cosà. È un po' come i giocatori di golf che discutono su come hanno completato la quarta buca.

VG: La seconda parte della conferenza trattava di videogiochi e medicina. Che cosa è saltato fuori dalla conferenza su questo particolare tema?

OLTON: Questo è stato l'argomento che ha maggiormente sorpreso molti dei partecipanti. Uno non si aspetta di entrare in un ospedale e trovare i pazienti giocare a videogiochi come parte della loro cura. In diversi ospedali degli Stati Uniti succede esattamente così. E succede in quattro aree della medicina. I videogiochi sono utilizzati con pazienti che hanno subìto attacchi di paralisi e traumi alla testa.

I dottori usano giochi come Breakout e SuperBreakout per aiutare i pazienti a imparare come muovere le mani e le braccia e a coordinare le loro azioni con i movimenti degli occhi. Molti pazienti hanno difficoltà a mantenere l'attenzione su qualunque cosa per un lungo periodo di tempo. I medici hanno provato con diversi sistemi, ma il paziente perde facilmente interesse; con i videogiochi invece essi si concentrano e lavorano e giocano per periodi di tempo sostanziali e questo è di grande aiuto per il loro recupero.

In altri casi è successo che giochi come Hangman o giochi di numeri siano stati usati per aiutare i pazienti e reimparare delle abilità mentali andate perdute.

I giochi funzionano meglio dei libri perché gli adulti che già sanno leggere ma devono reimpararlo, considerano i libri per bambini come un insulto. Ma questi pazienti hanno bisogno di fare esercizi semplici e i giochi rendono divertente l'apprendimento di queste nozioni.

Un'altra branca della medicina che ha utilizzato i videogiochi con grande successo è quella che cura un particolare disturbo degli occhi chiamato ambliopia (gli occhi non si muovono insieme, ma ciascuno si muove per conto suo, n.d.r.). Questo disturbo è molto comune nei bambini.

La cura consiste solitamente nel fargli indossare una benda sull'occhio sano, facendogli imparare a muovere correttamente l'occhio malato. Come lei sa, i videogiochi richiedono una notevole dose di movimento degli occhi nel seguire gli oggetti sullo schermo e in due ospedali negli Stati Uniti i videogiochi vengono prescritti ai ragazzi come delle medicine. Portati a casa il gioco e giocaci mezz'ora ogni giorno.

VG: Di quali ospedali si tratta?

OLTON: Un ospedale a New York che si chiama Eye and Ear Infirmary e uno a Chicago, l'Illinois School of Optometry. In questi ospedali stanno conducendo degli esperimenti con i videogiochi e hanno riscontrato che essi aiutano i pazienti a superare più velocemente il loro problema di quanto faccia il trattamento della benda. Questa terapia viene chiamata video terapia.

VG: Vorrei che ora mi parlasse dei videogiochi nel campo dell'educazione.

OLTON: Per quanto riguarda il campo dell'educazione, alla conferenza sono stati presentati esempi di due nuovi tipi di videogiochi e io credo che in futuro vedremo in commercio molti giochi appartenenti a queste due categorie. Una di esse comprende quei giochi che io chiamo "kit di costruzione elettronica". Il gioco si chiama Rocky's Boots e gira su home computer.

Il gioco consiste nel disegnare circuiti elettronici utilizzando il filo, i transistor o gli interruttori che appaiono sullo schermo e poi combinandoli in vari modi. Si può vedere come l'elettricità fluisce attraverso il circuito immaginario e se il circuito scoppia va bene lo stesso. Nella vita reale sarebbe pericoloso, ma così si possono sperimentare i più diversi circuiti sullo schermo senza pericolo. È stato creato per bambini di 9-10 anni, ma potrebbe essere appropriato anche per me. Con questo gioco si possono imparare molte delle cose che impara un ingegnere elettronico quando disegna un circuito.

Il secondo tipo di giochi sono quelli che consentono al bambino di fare esperimenti di espressione artistica. Cercherò di descrivere il gioco anche se non è facile farlo a parole, poiché bisognerebbe avere davanti lo schermo. A ogni modo, quello che il bambino vede sullo schermo è un tram con quattro musicisti a bordo. Ogni musicista suona un motivo diverso, tutti insieme formano un'armonia corale a quattro "voci".

Si può far scendere un musicista dal tram, e farne salire un altro tra quelli che si trovano ai bordi dei binari. È così possibile sperimentare nuove armonie musicali. Non è possibile fare una cosa del genere nella realtà e i computer diventa quindi un nuovo e potente strumento di approfondimento nella comprensione dell'arte da parte del bambino.

VG: Ma non c'è il pericolo che il videogioco o il computer sostituisca il maestro?

OLTON: Questa è una domanda che mi sento chiedere spesso. L'opinione venuta fuori dalla conferenza è no, assolutamente. Il computer estenderà e rafforzerà il lavoro dell'insegnante, ma non sarà un sostituto né dei libri né degli insegnanti. Aiuterà enormemente l'apprendimento poiché darà al bambino nuovi modi di comprendere le cose.

Credo che la sensazione che aleggiava alla conferenza fosse che la gente sentiva di essere presente alla nascita di un nuovo e potente modo di imparare e comprendere le cose. Erano molto eccitati per il potenziale di questo nuovo mezzo e volevano esplorarlo. Secondo la maggior parte dei partecipanti i computer e i videogiochi possono promuovere significativi apprendimenti in molte aree della vita umana.

Chi è Robert Olton

Il Dr. Olton si è laureato all'Università di California a Berkeley e ha conseguito un Master alla McGill University di Montreal. Per dodici anni è stato membro della facoltà e ricercatore al Dipartimento di Psicologia di Berkeley, dove si è specializzato in studi sul pensiero umano e sui processi che portano alla risoluzione di un problema. Ha scritto più di una dozzina di pubblicazioni scolastiche in questo campo ed è coautore di un programma educativo che aiuta gli studenti a sviluppare le loro abilità di riflessione.

Il Dr. Olton è stato inoltre "scienziato ospite" allo Xerox Palo Alto Research Center.

Attualmente sta esplorando il potenziale dei computer come strumenti per espandere il pensiero e l'apprendimento. Olton crede che un giorno la gente userà i computer per estendere le loro abilità mentali come ora si usando strumenti ginnici per estendere le abilità fisiche.

Dal 1982, il Dr. Olton è direttore della ricerca comportamentale all'Atari.

I commenti della stampa americana sulla conferenza di Harvard

Tutti i più importanti giornali americani hanno dedicato almeno un articolo sulla conferenza di Harvard. Tutti hanno riportato ampi stralci degli interventi e tutti indistintamente hanno fatto notare come siano infondate o solamente causate dall'ignoranza le voci che i videogiochi allontanino i giovani dallo studio per avvicinarli al vizio e alla droga.

«Non solo i videogiochi sviluppano la coordinazione oculo-motoria», riporta il New York Times, «ma insegnano anche molte altre abilità intellettuali. Tutti gli studiosi si sono trovati d'accordo nel riconoscere, tra queste qualità, lo sviluppo delle capacità deduttive, la capacità di tracciare delle generalizzazioni da osservazioni specifiche, una percezione più precisa della spazialità e l'abilità nel gestire diverse variabili che interagiscono contemporaneamente fra loro».

«Edna Mitchell», continua il NYT, «ha presentato uno studio da lei condotto su un campione di 20 famiglie che possedevano un videogioco da casa, dal quale risulta che nessun genitore si lamenta che i risultati scolastici dei figli siano peggiorati a causa dei videogiochi. Anzi, la Mitchell afferma che il 40% dei genitori dice che il rendimento scolastico dei figli è migliorato. Per di più le famiglie passano più tempo assieme incoraggiandosi a vicenda nel giocare sempre meglio. Fatto questo», sottolinea ancora il NYT, «di grande stabilità per una migliore armonia familiare».

«Sylvia Weir», riporta invece il Washington Post, «una studiosa di pediatria all'MIT, ha sottolineato i miglioramenti riscontrati in quelle persone affette da disturbi cerebrali che hanno usato i computer per superare i problemi di comunicazione. Un ragazzo di 7 anni incapace di parlare "usava la keyboard per dirci che cosa stava facendo in relazione a quello che il gioco gli sottoponeva". La Weir», continua il WP, «utilizza anche i videogiochi per aiutare i bambini dislessici a superare le loro difficoltà a scrivere ordinatamente».

La rivista TIME in un articolo intitolato "Donkey Kong entra ad Harvard" riporta l'intervento di Patricia Greenfield, psicologa all'UCLA. «La professoressa Greenfield sostiene che un bambino che riesce a manipolare una schiera di bottoni per misurare la forza di gravità e la spinta di una astronave, il tutto mentre evita gli invasori e spara missili e bombe, dimostra di usare una complessa capacità riconoscitiva. Questo è ciò che lei chiama "processo parallelo", l'abilità cioè di tener conto di molte variabili contemporaneamente. "I videogiochi sono come la vita", dice la Greenfield, "dovete imparare dall'osservazione dei fatti, farvi un'opinione e prendere rapidamente una decisione"».

Il giornale USA Today intitola invece il suo reportage: "I videogiochi non minacciano i giovani americani". Il cronista riporta molto dettagliatamente i risultati di uno studio svolto da David Brooks della University of Southern California. «Le sale gioco sono dei luoghi inoffensivi e non corrompono la morale e i costumi dei teen-agers. È questo il risultato di uno studio di D. Brooks su un campione di 993 teen-agers di Los Angeles.»

Questi, più in particolare, i risultati:

- All'interno di una sala gioco solo il 51% del tempo è dedicato al gioco, il resto lo passano a congratularsi con altri giocatori, a parlare e a insegnare ai giocatori meno abili.

- Il giocatore-tipo è un ragazzo sicuro, va mediamente bene a scuola, lavora part-time e non spende più di 5 dollari alla settimana per giocare.

- I ragazzi socialmente indesiderati - tipo handicappati, obesi e loners - quando sviluppano una certa abilità di gioco sono generalmente ben accetti.

- Solo il 6% dice di se stesso o dei suoi amici di bigiare la scuola per andare a giocare.

- Solo il 3% dice che l'uso della droga è un problema nelle sale gioco».

Insomma dalla lettura dei giornali americani sembra proprio che ormai tutti siano convinti se non dell'utilità dei videogiochi, se non altro della loro assoluta non pericolosità. Tutti gli articoli hanno sottolineato l'importanza di questo convegno e l'interesse che gli studi sull'argomento stanno suscitando in tutto il mondo universitario.

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