"Purché non sia un computer-padrone" (Tuttolibri, 23 febbraio 1980)

di Andrea Pachetti

Questo articolo del 1980 esula dai tipici contesti che affrontiamo solitamente su queste pagine, e penso sarà molto utile per riflettere sul rapporto tra grandi e piccoli calcolatori, l'informatica aziendale e quella personale, una dicotomia che iniziava a presentarsi concretamente proprio in quel periodo, per la prima volta, anche nella stampa generalista italiana.

Nel contesto appena descritto venivano espressi i tradizionali timori di fronte al progresso e la consueta reazione di chi nel dibattito si poneva come "apocalittico", cioè colui che criticava chi si sentiva invece già "integrato" nella nuova realtà, talvolta sfociando in atteggiamenti sociali di panico morale.

Ma, mentre le paure principali nei confronti dell'informatica personale erano in sostanza riferite all'alienazione del singolo individuo e al "tempo perso", se si parla dell'analisi dei grandi sistemi informatici le preoccupazioni erano rivolte sia alla perdita del lavoro in relazione a una progressiva automazione dell'industria, sia alla gestione dei dati personali, che iniziavano a essere accumulati nelle banche dati centralizzate.

Il "1984" descritto da Orwell si stata avvicinando a grandi passi e spesso, nei commenti e nelle critiche, si ponevano dei paralleli tra la società dei computer e il "Grande Fratello", come peraltro abbiamo visto di recente commentando un altro articolo. È proprio in relazione a questo che l'intervista del giornalista Ernesto Gagliano al giurista Mario Losano risulta particolarmente interessante, perché sottolinea quanto il problema della privacy sui dati fosse già sentito in un'epoca che, dal punto di vista informatico, ormai ci sembra lontanissima e per certi versi ormai poco comprensibile.

Purché non sia un computer-padrone

A colloquio con Mario Losano, un giurista che studia i calcolatori

«Le nuove tecnologie hanno aumentato enormemente le capacità di memoria, diminuendo i costi» - «In Francia e in Germania c'è un organismo di controllo: è vietato l'uso di un dato per fini diversi da quello per cui è stato raccolto» - «Umanità delle macchine? C'è solo quello che uno ci ha messo dentro» - Come l'informatica può condurre a una reazione irrazionale

MILANO - Eccoci, più o meno trionfalmente, nell'era dell'informatica. Amministrazioni pubbliche e aziende mettono nella memoria del calcolatore ogni dato utile. Prima o poi sapranno tutto del cittadino: come vive, quanto paga di tasse, che cosa legge, se ha fatto il morbillo o gli orecchioni. In casa molti giocano a scacchi o a bridge con il piccolo computer che annuncia con un "bip-bip" la sua mossa. Le radici quadrate non si calcolano più con penna e quaderno, ma si preme il bottone della macchinetta tascabile. Che sta succedendo? Dove ci porterà questa rivoluzione?

Lo domandiamo a Mario Losano, docente di teoria generale del diritto all'Università di Milano. Quarant'anni, cordiale, alla logica giuridica accomuna lo studio dei calcolatori. È autore di numerosi saggi (come "Giuscibernetica", Einaudi) e dirige una collana dal titolo "La società informatica" per la Rosenberg & Sellier. Un giurista curioso delle macchine, senza esserne troppo ammaliato: non dimentica mai che dall'altra parte c'è l'uomo.

«L'era dell'informatica? Sì, ci siamo dentro» e allarga le braccia a dire: è una bella conquista, ma dobbiamo anche stare attenti. «La diffusione che hanno avuto queste macchine», spiega, «è enorme. L'elettronica è entrata dappertutto. Con la tecnica dei "microprocessori" si ha un'immensa capacità di memorizzazione. E ciò significa che mentre una volta le singole operazioni di una macchina dovevano essere collegate da un'attività umana, ora il collegamento lo fa la macchina stessa che ha nella sua memoria la sequenza delle attività da compiere».

Per favore, un esempio che ci aiuti a capire meglio. «Esempio? La saldatura di una scocca dell'auto al telaio: sono oltre 120 punti di sutura. Originariamente il saldatore interveniva con l'attrezzo apposito sui punti prestabiliti. Ora invece i pezzi da saldare si muovono lungo una catena automatizzata che salda i punti indicati da un programma contenuto nella memoria del calcolatore. Se si cambia il programma, la stessa catena automatizzata può saldare un modello diverso...»

Memoria, ecco la parola chiave della cibernetica. «Sì, queste memorie oggi si trovano nel cruscotto della BMW, nelle macchine tessili, in quelle per scrivere, nelle calcolatrici tascabili, eccetera».

Un rivoluzione che dilaga portando frutti benefici? «Tutto ciò offre grandi vantaggi, ma crea anche gravi problemi. È un nuovo modo di produrre che solleva anzitutto interrogativi sugli effetti che può avere per l'occupazione».

C'è già chi canta inni trionfali: il computer servirà al medico, all'architetto, all'artista, alla massaia. Losano, pazientemente, fa una distinzione preliminare. Ci sono i grandi elaboratori che hanno già la via tracciata nella gestione dell'industria, dei servizi, dello Stato; poi c'è il "computer personale", piccoli calcolatori che possono essere usati per un magazzino, lo schedario di un medico, una biblioteca, l'indirizzario dei clienti, eccetera.

E come definirebbe un computer? «Parlando di quelli grandi, direi: è uno strumento per la rapida aggregazione e disaggregazione di un numero pressoché illimitato di dati opportunamente predisposti». E precisa subito: «Si possono ottenere tutte le risposte purché fin dall'inizio si sappia ciò che gli si vuol chiedere». Il dramma di certi enti sta nella poca chiarezza dei quesiti che intendevano porre.

Si parla di una possibile rete di computer collegati con banche centrali di dati. Nulla più sfuggirebbe all'occhio del potere. Tutto ciò non potrebbe servire contro il cittadino?

«Le nuove tecnologie hanno aumentato enormemente le capacità di memoria, diminuendo i costi. Si vanno formando delle banche di dati, soprattutto legate alla gestione economica, del territorio, della popolazione. C'è la possibilità di sommare dati provenienti da diverse fonti, il pericolo per la libertà individuale esiste davvero. Proprio negli ultimi due anni la Germania Federale e la Francia hanno emanato leggi per la tutela dei dati personali, il che vuol dire mettere in piedi un nuovo settore dell'amministrazione pubblica».

In pratica questa raccolta di notizie come potrebbe insidiare la libertà individuale?

«Guardi, un centro aziendale di dati che facesse confluire nella propria memoria altri dati provenienti da liste di abbonamenti a giornali o riviste, da elenchi di adesioni a partiti, sindacati, sette religiose, potrebbe compiere discriminazioni all'insaputa dell'interessato».

Ma il punto, spiega Losano con sensibilità di giurista, non è solo questo. Lui si domanda: «Che cosa avviene se una delle informazioni è errata? Come fa il cittadino a saperlo? A chi si rivolge per ottenere la correzione? E se l'interessato ritiene che vi sia un errore e l'ente memorizzante dice di no, chi risolve la controversia?»

Quesiti inquietanti. Sarebbe una specie di dittatura del calcolatore.

«No, è la dittatura di chi detiene il calcolatore. Sta proprio qui il significato dello slogan che l'informazione è potere».

E allora che cosa si può fare per difenderci da eventuali abusi?

«In Francia e in Germania, come le ho detto, è sorto un apposito organismo di controllo. Si fa un censimento di tutti gli enti o aziende che tengono dati personali con sistemi elettronici o manuali, è vietato l'uso di un dato per fini diversi da quello per cui è stato raccolto. Da noi per ora esiste soltanto una commissione».

In Italia l'indiscrezione del computer ha già fatto vittime?

«Ho qualche preoccupazione legata alla riforma sanitaria. Le Regioni e certi enti pubblici non possono pagare i dipendenti dei centri di calcolo come li pagano le industrie, quindi hanno costituito della "spa" per la gestione dei propri dati, oppure di fronte a compiti enormi come la riforma sanitaria possono affidare i dati a enti e società esterne. Che garanzia ha il cittadino sulla riservatezza con cui verranno trattate le informazioni della sua salute? Lei mi chiedeva un esempio di abuso? Ecco, mi viene in mente quel magistrato che si è fatto dare l'elenco delle donne che avevano abortito. Cose di questo genere con il calcolatore diventano possibili su vastissima scala, dai pazienti di un ospedale fino alla popolazione di intere regioni».

C'è il rischio che il cittadino non possa più avere segreti?

«Si parla di un ritorno al Medio Evo e da un certo punto di vista anche l'informatica sembra riportarci indietro, dalle dimensioni della megalopoli dove tutti si ignorano reciprocamente a quelle del villaggio dove si sa tutto di tutti. Però la megalopoli-villaggio dell'informatica è in realtà il posto dove uno o pochissimi possono sapere tutto di tutti gli altri».

Losano non ama le domande sui robot che parlano e camminano, le definisce "folcloristiche". Insistiamo, che cosa c'è di umano nella macchina?

«Di umano c'è solo quello che uno ci ha messo dentro e l'uso che se ne fa».

I computer possono essere creativi?

«Bisogna vedere che cosa si intende per creatività. Se vuol dire fare qualcosa che non gli abbiamo messo dentro, allora no».

E la cosiddetta "computer-art"?

«Nella "computer-art" il calcolatore è tanto creativo quanto lo è il pennello o lo scalpello. Insomma, alle spalle deve esserci una testa che pensa. La creatività è lì».

Queste macchine ultrasofisticate cambiano l'uomo, producono delle modificazioni anche culturali?

«Qui si può procedere solo per domande. Per esempio, è un caso che proprio nell'epoca delle grandi banche di dati si lotti per abbattere il nozionismo e si dedichi molta attenzione ai problemi del formalismo?»

Certo, una conseguenza potrebbe essere il fatto di non sentire più il bisogno di nozioni, tanto possiamo sempre chiederle al calcolatore.

«Sì, ma c'è l'altro problema: che cosa gli chiediamo se non abbiamo le nozioni? Ci si fonderà su procedimenti intuitivi, analogici, cioè su quella irrazionalità che oggi è tema di tanti dibattiti culturali?»

L'invenzione e la tecnologia dei computer hanno portato una marea di concetti, parole, schemi mentali dove trionfano l'organizzazione, il programma, l'organigramma, la visione strutturata della realtà. E allora, come evasione, vien fuori il guizzo dell'irrazionalità. Questo è l'altro rischio. «Tutte le vie dell'informatica», dice Losano, «sembrano condurre verso una reazione irrazionale». Usiamo quindi il computer e diciamogli grazie, ma non mettiamolo su un piedistallo. Può essere uno dei quegli idoli invadenti e vendicativi.

Ernesto Gagliano

Commenti

  1. Quando dice che negli ultimi due anni la Germania Federale ha emanato una legge a tutela dei dati personali si riferisce alla Bundesdatenschutzgesetz entrata in vigore a livello nazionale il primo gennaio 1978 appunto. https://en.wikipedia.org/wiki/Bundesdatenschutzgesetz mentre il riferimento alla Francia va alla legge n. 78-17 ,praticamente contemporanea alla sua analoga tedesca, del 6 gennaio 1978 https://www.cnil.fr/fr/la-loi-informatique-et-libertes

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