di Andrea Pachetti
Con questo articolo proseguiamo l'analisi dei testi legati ai temi dell'informatica, dopo aver parlato nel 2014 dei libri per ragazzi realizzati e illustrati da Luca Novelli. In questo caso ci occupiamo, nello specifico, dei volumi italiani dedicati ai videogiochi.
A partire dal dicembre del 1982, in seguito alla pubblicazione di Videogiochi della Jackson, la prima rivista completamente dedicata all'argomento, maturò progressivamente negli editori un certo interesse per dei libri che avessero come tema principale proprio il mondo dei videogame.
I primi tra di essi mutuavano più o meno totalmente la loro struttura dai testi americani, che descrivevano soprattutto le strategie per "vincere" e massimizzare i punteggi ottenuti: uno degli autori più importanti in questo senso fu Ken Uston, la cui guida a Pac-Man divenne negli Stati Uniti un vero e proprio best seller. La portata del fenomeno fu tale che anche autori di narrativa molto noti, come Martin Amis, iniziarono la propria carriera scrivendo proprio degli "Space Invaders".
Per quanto riguarda il nostro Paese, il primo titolo da segnalare cronologicamente è stato Videogiochi di David Hulme, uscito per la MEB nel 1983, seguìto poi da Il manuale dei videogames di Carlo Capitta, pubblicato da Anthropos l'anno successivo. Mentre il libro del Capitta si rivelò una pura sequenza di consigli per giocare efficacemente all'Atari VCS e all'Intellivision, il testo di Hulme possedeva anche un'interessante parte introduttiva, atta a scattare un'istantanea della situazione distributiva della realtà videoludica italiana, presa proprio nel momento in cui avveniva il passaggio da Melchioni ad Atari Italia.
Ma è solo nel 1985, con il testo di Piero Schiavo Campo e Carlo Tibaldi, che si ebbe una prima analisi globale e autonoma del videogioco in quanto tale, sia per home computer che per console: in particolare, l'intuizione più felice dei due autori fu quella di compiere un'analisi dei vari generi allora presenti nel campo dei videogames, dividendo quelli più legati all'azione e all'uso dei riflessi dagli altri che, invece, richiedevano maggiore strategia e riflessione.
In questa intervista, Piero Schiavo Campo descrive il suo approccio al mondo dell'informatica e la genesi de I computer games, oltre a fornire interessanti notizie sull'editore del libro, Supernova.
Piero Schiavo Campo (fonte) |
Penso che la prima cosa utile per comprendere il vostro libro sia descrivere il clima nel quale nacque: a quanto leggo, I Computer Games venne pubblicato nel giugno del 1985; mi chiedevo quale fosse stato il background di studi ed esperienze lavorative che vi ha portato a scrivere di videogiochi.
Nel 1985 Carlo Tibaldi ed io lavoravamo come dipendenti presso la Etnoteam, una software house nata nel 1978 all'alba della cosiddetta "prima rivoluzione informatica". Credo che sia difficile, per chi non ha vissuto quegli anni, immaginare il clima che si respirava a quell'epoca. Le idee, le novità, le stesse aziende nascevano una dopo l'altra come una foresta di funghi, e si aveva l'impressione che qualsiasi iniziativa che gravitasse intorno al mondo del software fosse destinata a un successo immediato. Per dare un'idea della rapidità degli sviluppi nel settore, vorrei fare qualche esempio.
Nel 1972 (sei anni prima che nascesse Etnoteam) io ero studente al secondo anno di fisica; per fare i calcoli, i professori ci insegnavano l'uso del regolo calcolatore. Il padre di uno degli amici con cui studiavo era un manager di Pirelli, i soldi non gli mancavano; decise di regalare al figlio una macchina calcolatrice dell'epoca: un oggetto lungo una ventina di centimetri e largo quindici, capace di fare le quattro operazioni in virgola fissa (occorreva impostare il numero di decimali prima di iniziare i calcoli, e se si sbagliava non c'era verso di rimediare). La macchina disponeva di un unico registro di memoria, non era programmabile e costava 240.000 lire (approssimativamente 2.000 euro di oggi, come potere d'acquisto).
Nel 1974 il professor Gavril Grueff (che l'anno dopo sarebbe diventato il relatore della mia tesi) tornò nella sua sede di Bologna da una missione in America portando con sé una HP 25, una calcolatrice grande meno della metà di quella del mio amico, programmabile, con (mi pare) 10 registri di memoria, capace di usare la cosiddetta notazione scientifica (le virgole non erano un problema!) e tasti dedicati alle principali funzioni matematiche. Un giorno mi raccontò che quando l'aveva mostrata ai colleghi, tutto il laboratorio di radioastronomia del CNR di Bologna era intorno a lui; gli scienziati la fissavano con gli occhi sgranati, facendo domande come: «ma davvero, se schiacci un tasto ti calcola il logaritmo?»
Nel 1975 l'HP 25 era ancora in vendita e costava 120.000 lire, cioè quanto la mia FIAT 500 (comprata usata, ma ancora gagliarda). Nel 1980 chiuse un vecchio negozio che vendeva dischi di vinile vicino a casa dei miei genitori, a Milano; al suo posto apparve un computer shop, il primo che io abbia visto con i miei occhi; l'anno dopo i computer shop erano tra i negozi più diffusi in città. Io venni assunto in Etnoteam nell'ottobre del 1981; a quei tempi una giornata di corso di informatica veniva venduta a un'azienda in media per un milione di lire, che era più o meno lo stipendio mensile di un operaio, e le richieste superavano le capacità aziendali di far fronte alla domanda. Pochi anni dopo nacque a Milano il corso di laurea in Informatica, grazie soprattutto all'iniziativa di Gianni Degli Antoni, recentemente scomparso. Le lezioni del primo anno venivano tenute in un cinema, perché non esisteva, in tutta l'Università statale di Milano, un'aula abbastanza grande per contenere le matricole.
Quindi, in questa realtà così frenetica e carica di cambiamenti, iniziò a manifestarsi anche il fenomeno dei videogiochi per computer e, di conseguenza, il vostro interesse per l'argomento.
Sì, certamente i computer game erano tra gli aspetti straordinari e affascinanti dell'informatica di quei tempi. Oggi siamo talmente abituati al gioco elettronico che la sua esistenza ci sembra scontata quanto quella delle case, degli ombrelli o delle seggiole per sedersi; tuttavia, fino alla metà degli anni Settanta nessuno aveva mai visto un computer game, semplicemente perché... non c'erano i computer! O meglio: i computer esistevano, ma erano di solito macchine enormi, costosissime, accessibili solo alle grandi aziende, alle università, agli enti governativi. Le cose, però, stavano cambiando rapidamente.
Nel 1977 due ragazzotti con la testa piena di sogni che si chiamavano Steve Jobs e Steve Wozniak guadagnarono il loro primo milione di dollari vendendo un oggetto che si chiamava Apple II. Steve Jobs era del 1955, quindi all'epoca aveva 22 anni. I grandi manager di IBM, che a quei tempi era il gigante indiscusso dell'informatica, ridevano a crepapelle all'idea che qualcuno volesse produrre un personal computer. Un po' quello che succederebbe oggi, se un'azienda microscopica decidesse di mettere in vendita astronavi biposto per andare sulla luna con la fidanzata. Il fatto è che il mondo aveva disperatamente bisogno di strumenti informatici a prezzi accessibili: per scrivere si usavano le macchine da scrivere, per fare i conti le macchinette come quella del mio amico, e se qualcuno voleva tenere un archivio l'unica cosa che poteva fare era usare schede di carta.
I giochi per computer furono tra i primissimi oggetti software di grande successo commerciale. Può sembrare strano, ma a quei tempi non interessavano soltanto gli adolescenti. Molte delle idee guida dell'informatica nacquero intorno al gioco; per fare un esempio, il concetto di ipertesto (termine coniato da Ted Nelson nel 1965) fu alla base dello sviluppo dei cosiddetti adventure game. Un'astrusa idea teorica trovava inaspettatamente un'applicazione pratica capace di creare fatturati di milioni di dollari, e quell'applicazione permetteva di chiarire i confini e le potenzialità dell'idea stessa. Detto per inciso, l'applicazione più nota dell'ipertesto si chiama World Wide Web, una cosa nata dalla fantasia di un certo Tim Berners-Lee all'inizio degli anni Novanta.
Anche i giochi interattivi richiedevano algoritmi molto sofisticati per la generazione di immagini in movimento, e il fatto che avessero un mercato potenziale immenso diede un impulso decisivo alla ricerca nel campo. Oggi non ci badiamo molto: le applicazioni come Google Earth, gli innumerevoli ambienti virtuali sul Web (come Second Life, per intenderci) ci sembrano del tutto ovvi e naturali; la maggior parte di noi non ha neppure una vaga idea di come sia difficile creare una simulazione realistica, in cui un oggetto appare muoversi in un ambiente tridimensionale. Insomma: i giochi, lungi dall'essere semplicemente destinati al divertimento, erano (e sono ancora) oggetti di studio nelle aule universitarie.
Mi piacerebbe conoscere qualche informazione in più su Supernova Edizioni, con cui avevate pubblicato il libro: ho notato che propose in un lasso di tempo molto limitato parecchi testi legati all'informatica, sia in traduzione che originali.
Nel 1985 Etnoteam aveva deciso di diversificare il proprio business con un'apertura verso il mondo editoriale, il cui risultato era stato proprio Supernova Edizioni. Era un'epoca molto diversa da quella attuale, e i piccoli editori potevano sperare di trovare un loro spazio commerciale; in particolare, l'idea di Roberto Polillo e Marco Maiocchi (due dei soci di Etnoteam, entrambi docenti del corso di laurea in informatica) era quella di fare crescere una casa editrice specializzata nel mondo del software: la rivoluzione informatica richiedeva strumenti che permettessero alla gente comune di capirla.
L'iniziativa nacque in fretta (come tutto, in quel periodo), ma un editore senza un catalogo di libri pubblicati non è un editore. Per questo motivo Polillo e Maiocchi chiesero a Carlo Tibaldi e a me di collaborare, scrivendo un libro sui computer game. Non era un obbligo, s'intende, non eravamo costretti ad accettare; del resto, il clima che si respirava nelle aziende a quell'epoca era molto più libero di quello di oggi, meno vincolato a processi e più creativo, e questo era vero soprattutto nel mondo del software.
La scelta di chiedere la collaborazione di Carlo Tibaldi era ovvia. Carlo era noto in Etnoteam come un profondo conoscitore del mondo dei giochi elettronici; ricordo bene la sua collezione privata di giochi per Apple, un grosso contenitore completamente riempito di floppy disk da 5 ¼ pollici (quelli neri che volendo sarebbe stato possibile arrotolare su se stessi). Era un lettore accanito delle riviste di settore, e in azienda non sarebbe stato possibile trovare qualcuno più competente di lui.
Il motivo per cui chiesero anche a me di collaborare non mi è altrettanto chiaro, forse stava nel fatto che già allora ero noto in azienda come uno che si divertiva a scrivere; per il resto conoscevo il mondo dei giochi come chiunque altro in azienda. L'idea era che avremmo potuto usare tempo e strumenti aziendali, ma in cambio non avremmo chiesto diritti d'autore. Insomma, in qualche modo potevamo vedere quel lavoro come una commessa di Etnoteam: invece che tenere un corso, fare una consulenza a un cliente o sviluppare un applicativo software, avremmo dovuto scrivere un libro. L'idea era eccitante, e accettammo l'offerta.
Ritengo che una delle cose più interessanti che emergono dal libro sia il tentativo di classificare i videogiochi per generi, un tema che diventerà sempre più importante negli anni successivi. Come mai avevate sentito questa esigenza e in che modo lei e il Tibaldi vi eravate divisi i compiti, per quanto riguarda la stesura dei singoli capitoli?
L'impianto del libro fu deciso da Tibaldi; era l'unico in tutta la Etnoteam che potesse tentare un'operazione così ambiziosa come definire una tassonomia "funzionale" dei giochi disponibili a quell'epoca (perché li conosceva tutti). L'alternativa sarebbe stata quella di classificare i giochi in base al computer su cui giravano (giochi per Commodore 64, giochi per Apple II, ecc.), ma il risultato sarebbe stato molto meno interessante: un po' come classificare le automobili come "auto prodotte da FIAT", "auto prodotte da Renault" ecc., anziché come "SUV", "auto sportive" e così via. L'approccio tassonomico ci sembrò il più adatto per organizzare i contenuti; del resto, da bravi informatici non potevamo che condividere la passione per le tassonomie!
Ci dividemmo i capitoli da scrivere e cominciammo il lavoro, ma nel giro di poco ci fu chiaro che la metodologia giusta era un'altra: Carlo selezionava i giochi più significativi, e mi passava gli appunti che io mettevo giù in bella copia. Di fatto, l'unica parte del libro che scrissi senza il suo aiuto fu quella degli adventure game, che conoscevo bene, e qualcuno degli altri giochi descritti; per il resto mi limitai a fare da "macchina da scrivere" al mio collega. In questo modo il libro fu finito a tempo di record (come del resto avrebbero voluto Polillo e Maiocchi); se non ricordo male, l'intero lavoro non richiese più di due mesi.
Il libro è stata l'unica vostra attività riguardante i videogiochi o ci sono state altre pubblicazioni successive?
Per parte mia ho continuato a essere affascinato dai giochi, anche se non mi è più capitato di esserne coinvolto in senso professionale. Andai via da Etnoteam nel 1986, avendo trovato un lavoro più remunerativo, ed è più o meno da allora che non vedo Carlo Tibaldi, salvo un fugace incontro che avemmo una quindicina di anni dopo negli uffici della Vodafone. Io ero lì come consulente, lui era stato assunto dal colosso telefonico. Mi disse che le cose gli andavano bene, mi offrì un caffè e chiacchierammo di quello che ci era successo nel frattempo. Penso che sia rimasto un grande appassionato di computer game, ma non mi risulta che ne abbia creati in proprio, o che abbia scritto altro sul tema.
Oltre a ringraziare Piero Schiavo Campo per la disponibilità, per chiudere l'articolo aggiungo del materiale che potrebbe essere utile agli appassionati e collezionisti dei libri di Supernova Edizioni S.r.l., cioè un elenco completo (per quanto possibile) di tutte le sue pubblicazioni, uscite tra il 1984 e il 1985; l'elenco è stato compilato sulla base di quanto possiedo, integrando le informazioni grazie alle schede bibliografiche del Servizio Bibliotecario Nazionale.
In tutto si tratta di diciotto libri, divisi in alcune "serie". Come si noterà, esiste una serie 1 (tre libri), una serie 3 (tre libri) e infine le serie 6, 7 e 8 composte ciascuna da un solo testo. È probabile che le serie 2, 5 e 6 siano da considerarsi rispettivamente la "Serie di avventure" e le Screen Shot relative al Commodore 64 e ZX Spectrum. Lo Stregone della Montagna Infuocata (unico rappresentate della "Serie di avventure") è un libro anomalo rispetto ai temi degli altri: si tratta infatti del primo vero e proprio librogame pubblicato in Italia, traduzione dall'inglese del primo esponente della serie Fighting Fantasy, molto nota nel mondo anglosassone. Attualmente questo volume della Supernova è raro e ricercato dagli appassionati del genere.
(fonte) |
- ISBN 88-377-0000-8 Phil Cornes, Come programmare passo per passo Commodore 64 Libro 1, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming Commodore 64]
- ISBN 88-377-0001-6 Phil Cornes, Come programmare passo per passo Commodore 64 Libro 2, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming Commodore 64]
- ISBN 88-377-0002-4 Piers Letcher, Come programmare passo per passo ZX Spectrum Libro 1, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming ZX Spectrum]
- ISBN 88-377-0003-2 Piers Letcher, Come programmare passo per passo ZX Spectrum Libro 2, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming ZX Spectrum]
- ISBN 88-377-0004-0 Danny Goodman, Il personal computer Apple IIc, Serie 1 n. 1, 1984 [tit. orig. Going Places with the New Apple IIc]
- ISBN 88-377-0005-9 Helen Varley, Ian Graham, La piccola enciclopedia del personal computer, Serie 6 n. 1, 1985 [tit. orig. The personal computer handbook]
- ISBN 88-377-0006-7 Tom Logsdon, Robot, Serie 1 n. 3, 1985 [tit. orig. The robot revolution]
- ISBN 88-377-0007-5 Steve Jackson, Ian Livingstone, Lo stregone della montagna infuocata, Serie di Avventure n. 1, 1985 [tit. orig. The Warlock of Firetop Mountain]
- ISBN 88-377-0008-3 Eugene Galanter, I ragazzi e il computer, Serie 7 n. 1, 1985 [tit. orig. Kids and Computers]
- ISBN 88-377-0009-1 Marco Maiocchi, Insegnante e calcolatore, Serie 3 n. 1, 1985
- ISBN 88-377-0010-5 Piero Schiavo Campo, Carlo Tibaldi, I computer games, Serie 3 n. 2, 1985
- ISBN 88-377-0011-3 Adriana Bicego, Marco Maiocchi, Come si costruisce un programma : il basic per tutti, Serie 3 n. 3, 1985
- ISBN 88-377-0012-1 Gianluigi Castelli, Gloria Gazzano, MS DOS per esempi : tutti i comandi del più diffuso sistema operativo per personal computer, Serie 8 n. 1, 1985
- ISBN 88-377-0013-X Peter A. McWilliams, Il libro del personal computer, Serie 1 n. 2, 1985 [tit. orig. The personal computer book]
- ISBN 88-377-0014-8 Phil Cornes, Come programmare passo per passo Commodore 64 Grafica Libro 3, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming Commodore 64]
- ISBN 88-377-0015-6 Phil Cornes, Come programmare passo per passo Commodore 64 Grafica Libro 4, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming Commodore 64]
- ISBN 88-377-0016-4 Piers Letcher, Come programmare passo per passo ZX Spectrum Grafica Libro 3, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming ZX Spectrum]
- ISBN 88-377-0017-2 Piers Letcher, Come programmare passo per passo ZX Spectrum Grafica Libro 4, Serie Screen Shot, 1985 [tit. orig. Step-by-step programming ZX Spectrum]
Salve!
RispondiEliminaBellissimo articolo!!!
Una domanda. In questo volume (che non ho mai avuto il piacere di leggere) si parla anche dei giochi per il CreatiVision della Zanussi?
Saluti
Luca - webmaster del sito CreatiVEmu
Ciao, Luca. Credo che l'unico gioco trattato sia il Tennis, la cartuccia allegata alla console, nel capitolo dedicato ai "giochi sportivi".
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