di Andrea Pachetti
Dopo aver affrontato nel 2015 l'argomento Melchioni-Atari, proseguiamo adesso in ordine strettamente cronologico, analizzando e commentando l'avvento di Atari Italia, grazie alla presenza su queste pagine di Bennet Goldberg. A note for English-speaking researchers: if you're interested in reading the full original interview, taken in English language, please write me a line at my personal e-mail and get in touch, thanks.
Ti ringrazio molto per la disponibilità. Prima di tutto, potresti descrivere un po' la tua carriera? Dalle informazioni che ho reperito, tu sei stato il Marketing manager per Atari Italy, fondata nel 1983. Ti sei dovuto spostare nel nostro Paese durante quel periodo? Hai avuto altri incarichi per Atari in precedenza?
Sì, sono stato il Marketing manager di Atari Italy: ho iniziato a lavorare pochi mesi dopo la fondazione della società, nella primavera del 1983, terminando poi nell'estate del 1984, quando la Warner Communication (poi Time-Warner, ora Warner Media/AT&T) ha venduto Atari a Jack Tramiel (Commodore Computer). Riferivo direttamente al Direttore generale Massimo Ruosi e ho vissuto a Milano per tutto quel periodo. Conoscevo e collaboravo con gli altri Marketing manager europei: Regno Unito, Germania, Benelux e Francia.
In precedenza ero stato il Product manager per il settore hardware (console per videogiochi e accessori) dell'Atari International presso Sunnyvale (California), dal giugno del 1982 all'agosto del 1983. Dato che ero americano e avevo lavorato al quartier generale di Atari, "benché già parlavo l'italiano perché ho studiato a Bologna alla Johns Hopkins" [frase in italiano nell'intervista originale, NdT], potevo risultare particolarmente utile al team in Italia. Conoscevo tutte le persone e le politiche aziendali degli Stati Uniti, esperienza che nessun altro in Europa poteva avere.
Massimo Ruosi dovrebbe avere sui 78 anni adesso. Era un dirigente esperto di consumer marketing, essendo stato in precedenza il numero tre del marketing di Procter & Gamble Italia, così come il general manager di Rete Quattro, prima che Silvio Berlusconi la acquisisse aggiungendola al suo gruppo di Canale 5.
Lavoravi per Atari in quello che adesso viene considerato un periodo di crisi negli Stati Uniti, con problemi nelle vendite delle cartucce gioco (specialmente E.T.) e perdite nei profitti. Qual è stata la tua esperienza personale in quel momento, e cosa ti è rimasto in mente in particolare?
La "crisi" iniziò soltanto alla metà del 1983 negli Stati Uniti, e non fu percepita in Europa almeno fino alla primavera del 1984. In Italia abbiamo avuto un successo straordinario nel periodo in cui sono arrivato, specialmente durante il Natale del 1983 ("Atari Magari!"). L'intera divisione internazionale stava andando bene fino a quel momento.
Perché Atari decise di aprire e controllare direttamente diverse filiali in Europa? Pensarono all'Europa come a un mercato in espansione, che potesse generare nuovi profitti?
Atari ha avuto delle filiali in crescita nel Regno Unito, Benelux, Francia e Germania almeno dal 1981. L'Italia era stata l'ultima delle principali filiali europee ad aprire, nella primavera/estate del 1983. La divisione internazionale ("Atari International") stava già producendo centinaia di milioni di dollari di ricavi nel 1982. Quindi l'Europa stava crescendo rapidamente prima ancora che ci fosse QUALUNQUE TIPO di problema nel mercato americano.
Parlando della campagna marketing di "Atari Magari!" che hai citato, posso confermarti che questo slogan fu davvero un gran bel colpo, dato che è ricordato ancora oggi da moltissime persone qui in Italia. Potresti dirmi qualcosa in più sulla sua creazione?
La pubblicità originale per quella campagna (incluso lo slogan "Atari Magari!"), che aveva un forte fattore competitivo anti-Mattel, fu sviluppata da Massimo Ruosi assieme alla nostra agenzia pubblicitaria, Young & Rubicam, e si svolse durante l'estate e la prima parte dell'autunno del 1983. La famosa pubblicità natalizia fu sviluppata da me con la Young & Rubicam. In entrambi i casi abbiamo ricevuto l'assistenza di Andrea Zanconato, un product manager assunto dalla Young & Rubicam.
Volevo sapere qualcosa anche sulla agenzia di pubbliche relazioni Burson-Marsteller, che era stata presentata come partner del marketing Atari su una rivista italiana nel 1984, il numero 5 di Computer Games.
Hanno rivestito un ruolo relativamente minore nelle nostre strategie di marketing e, in particolare, non hanno avuto niente a che fare con le campagne pubblicitarie in televisione.
Qual era il target principale delle strategie di marketing?
Le nostre campagne di marketing erano dirette al consumatore praticamente al 100%, dato che ciò che proponevamo erano per noi essenzialmente prodotti di consumo, senza considerare il fatto che sia io che Massimo avevamo un background lavorativo di quel tipo.
Quali tipi di attività commerciali erano considerate le più importanti da Atari, i negozi di giocattoli o quelli di elettronica di consumo?
Entrambi. Le quattro persone che formavano il nostro gruppo di gestione vendite lavoravano con agenti sparsi per tutta l'Italia.
Prima delle creazione della filiale italiana di Atari nel 1983, c'erano due differenti società locali che si occupavano rispettivamente delle console per videogiochi (Melchioni) e degli home computer (Adveico). Ricordi qualcosa di questo passaggio, e che tipo di realtà hai trovato quando hai iniziato a studiare il nostro mercato locale?
Melchioni era il distributore più importante prima della fondazione di Atari Italy. L'Adveico era, credo, un "sub-distributore", nel senso che sebbene Atari avesse qualche relazione diretta con loro, il prodotto tecnicamente passava comunque attraverso Melchioni come "distributore principale". Però non sono sicuro al 100% di questa cosa, diciamo al 90%. In ogni caso, Melchioni era riuscita a far crescere il giro d'affari nel 1982 e nella parte iniziale del 1983, ma non abbastanza velocemente. Così Atari ha acquisito il loro inventario e in pratica ha assunto la gestione completa del business.
Il gruppo dirigenziale era composto da Massimo Ruosi come Direttore generale, Ernesto Zanzi come Direttore amministrativo, Vittorio Vitaletti come Direttore vendite, una persona di cui purtroppo non ricordo il cognome (Giorgio era il nome di battesimo) come Manager all'assistenza clienti e al supporto tecnico, infine il sottoscritto come Marketing manager.
Quindi la strategia di marketing di Atari Italy era stata costruita basandosi sul successo del VCS, oppure si voleva promuovere anche la linea di home computer a 8 bit?
Il nostro obiettivo principale nella seconda metà del 1983 e l'inizio del 1984 è stato senza dubbio la console per videogiochi (cioè il VCS) e il settore delle cartucce. La linea degli Home Computer era vista soprattutto come una futura opportunità di crescita, ma in quel momento NON era il nostro business principale. Certo, questo tipo di "divisione" tra due linee - console per videogiochi e PC - continua a esistere ancora oggi, dove per esempio la X-Box di Microsoft e la Playstation di Sony rappresentano le versioni attuali delle console dedicate di allora...
Il problema che aveva Atari NON riguardava il fatto che gli Home Computer stessero sostituendo le console nel mercato dei videogiochi; piuttosto, erano i principali prodotti di Atari nel settore (cioè il VCS e le cartucce) a non essere più competitivi a metà del 1984, quando Coleco e poi Nintendo diventarono dei giocatori chiave.
In particolare, Nintendo non aveva ancora lanciato la propria console in Europa, ma questo non era importante: sapevamo che sarebbe avvenuto, prima o poi, e che la sua superiorità competitiva sarebbe stata schiacciante sia rispetto sia al VCS, sia al sistema Mattel. Ed è proprio ciò che è successo, Nintendo è diventata la società dominante nel settore, durante la seconda parte degli anni Ottanta e nei Novanta.
Senz'altro anche la rapida crescita di Commodore rappresentava un problema, ma limitato soprattutto alla nostra divisione Home Computer.
Mi piacerebbe sapere come mai Atari non ha provato a promuovere la sua nuova console 5200 in Europa...
Ho lavorato su quel progetto per parecchi mesi, come Hardware Product Manager per Atari International (prima di arrivare in Italia), così sono stato molto deluso dalla sua cancellazione: purtroppo si trattava una console troppo costosa da fabbricare, quindi risultava poco competitiva sul mercato.
Parlando dei settori di console e cartucce gioco, quali di questi due garantiva maggiori guadagni?
Entrambi erano redditizi, ma quello delle cartucce di più. Senz'altro si trattava del classico tipo di situazione "rasoio / lamette da barba", cioè in cui una singola console generava la possibilità di vendere una serie di cartucce; Atari, quindi, aveva sempre cercato di mantenere il prezzo della console relativamente accessibile.
Il tuo lavoro qui in Italia si è fermato quando Atari Inc. si è divisa ed è stata creata l'Atari Corp di Tramiel, così non ti sei mai occupato della linea di computer a 16 bit e così via, è corretto?
Sì, ho lasciato Atari Italy e la compagnia nel suo complesso nell'agosto del 1984, quando è stata rilevata da Jack Tramiel, ex-Commodore.
Dopo Atari sei rimasto nel settore dei videogiochi oppure hai deciso di cambiare?
Ho cambiato. Nel giro di pochi mesi sono tornato in California e già durante la metà del 1985 avevo iniziato a lavorare per Quantum, la società di hard disk. Sono stato là per oltre otto anni arrivando, come Vice President di Quantum International, a dirigere le loro intere attività di vendita e marketing per tutti i paesi del mondo, escluso il Nord America. Quando sono entrato a far parte di Quantum, si trattava di una società con 120 milioni di dollari di entrate... Quando l'ho lasciata, era passata a due miliardi di dollari.
Ho letto che hai lavorato anche nell'industria discografica (PickWick International) così, vorrei chiederti, secondo la tua esperienza, quali sono le principali somiglianze e differenze che esistono tra vendere videogiochi e vendere dischi.
Ci sono alcune somiglianze, in particolare la deperibilità e la breve durata del prodotto, oltre alla natura di questi due settori, basati entrambi su successi e insuccessi ("hits and misses"). Ci sono però anche molte differenze. I dischi erano venduti soprattutto attraverso le trasmissioni radiofoniche e, successivamente, con i video tipo MTV; i videogiochi, invece, erano venduti esattamente come i giocattoli e i prodotti di consumo, quindi con pesanti campagne pubblicitarie in televisione, completate dalla stampa.
Inoltre i dischi erano venduti indipendentemente dai giradischi, con strutture di proprietà separate e non collegate tra loro, a differenza delle console per videogiochi e le loro cartucce. (Ovviamente, poi si sono formate anche lì delle società indipendenti che realizzavano solo cartucce, come la Activision). L'industria discografica era un settore molto più maturo, con canali di distribuzione ben determinati e stabiliti, un settore che era esistito sin dagli anni Trenta e che era fiorito dopo la Seconda guerra mondiale. Il settore dei videogiochi di consumo in sostanza era stato invece inventato da Atari nel 1980-1981.
Dopo aver affrontato nel 2015 l'argomento Melchioni-Atari, proseguiamo adesso in ordine strettamente cronologico, analizzando e commentando l'avvento di Atari Italia, grazie alla presenza su queste pagine di Bennet Goldberg. A note for English-speaking researchers: if you're interested in reading the full original interview, taken in English language, please write me a line at my personal e-mail and get in touch, thanks.
La conferenza stampa milanese del 20 maggio 1983, foto tratta da Videogiochi (Jackson) n. 6 |
Ti ringrazio molto per la disponibilità. Prima di tutto, potresti descrivere un po' la tua carriera? Dalle informazioni che ho reperito, tu sei stato il Marketing manager per Atari Italy, fondata nel 1983. Ti sei dovuto spostare nel nostro Paese durante quel periodo? Hai avuto altri incarichi per Atari in precedenza?
Sì, sono stato il Marketing manager di Atari Italy: ho iniziato a lavorare pochi mesi dopo la fondazione della società, nella primavera del 1983, terminando poi nell'estate del 1984, quando la Warner Communication (poi Time-Warner, ora Warner Media/AT&T) ha venduto Atari a Jack Tramiel (Commodore Computer). Riferivo direttamente al Direttore generale Massimo Ruosi e ho vissuto a Milano per tutto quel periodo. Conoscevo e collaboravo con gli altri Marketing manager europei: Regno Unito, Germania, Benelux e Francia.
In precedenza ero stato il Product manager per il settore hardware (console per videogiochi e accessori) dell'Atari International presso Sunnyvale (California), dal giugno del 1982 all'agosto del 1983. Dato che ero americano e avevo lavorato al quartier generale di Atari, "benché già parlavo l'italiano perché ho studiato a Bologna alla Johns Hopkins" [frase in italiano nell'intervista originale, NdT], potevo risultare particolarmente utile al team in Italia. Conoscevo tutte le persone e le politiche aziendali degli Stati Uniti, esperienza che nessun altro in Europa poteva avere.
Massimo Ruosi dovrebbe avere sui 78 anni adesso. Era un dirigente esperto di consumer marketing, essendo stato in precedenza il numero tre del marketing di Procter & Gamble Italia, così come il general manager di Rete Quattro, prima che Silvio Berlusconi la acquisisse aggiungendola al suo gruppo di Canale 5.
Lavoravi per Atari in quello che adesso viene considerato un periodo di crisi negli Stati Uniti, con problemi nelle vendite delle cartucce gioco (specialmente E.T.) e perdite nei profitti. Qual è stata la tua esperienza personale in quel momento, e cosa ti è rimasto in mente in particolare?
La "crisi" iniziò soltanto alla metà del 1983 negli Stati Uniti, e non fu percepita in Europa almeno fino alla primavera del 1984. In Italia abbiamo avuto un successo straordinario nel periodo in cui sono arrivato, specialmente durante il Natale del 1983 ("Atari Magari!"). L'intera divisione internazionale stava andando bene fino a quel momento.
Perché Atari decise di aprire e controllare direttamente diverse filiali in Europa? Pensarono all'Europa come a un mercato in espansione, che potesse generare nuovi profitti?
Atari ha avuto delle filiali in crescita nel Regno Unito, Benelux, Francia e Germania almeno dal 1981. L'Italia era stata l'ultima delle principali filiali europee ad aprire, nella primavera/estate del 1983. La divisione internazionale ("Atari International") stava già producendo centinaia di milioni di dollari di ricavi nel 1982. Quindi l'Europa stava crescendo rapidamente prima ancora che ci fosse QUALUNQUE TIPO di problema nel mercato americano.
Parlando della campagna marketing di "Atari Magari!" che hai citato, posso confermarti che questo slogan fu davvero un gran bel colpo, dato che è ricordato ancora oggi da moltissime persone qui in Italia. Potresti dirmi qualcosa in più sulla sua creazione?
La pubblicità originale per quella campagna (incluso lo slogan "Atari Magari!"), che aveva un forte fattore competitivo anti-Mattel, fu sviluppata da Massimo Ruosi assieme alla nostra agenzia pubblicitaria, Young & Rubicam, e si svolse durante l'estate e la prima parte dell'autunno del 1983. La famosa pubblicità natalizia fu sviluppata da me con la Young & Rubicam. In entrambi i casi abbiamo ricevuto l'assistenza di Andrea Zanconato, un product manager assunto dalla Young & Rubicam.
Volevo sapere qualcosa anche sulla agenzia di pubbliche relazioni Burson-Marsteller, che era stata presentata come partner del marketing Atari su una rivista italiana nel 1984, il numero 5 di Computer Games.
Hanno rivestito un ruolo relativamente minore nelle nostre strategie di marketing e, in particolare, non hanno avuto niente a che fare con le campagne pubblicitarie in televisione.
Qual era il target principale delle strategie di marketing?
Le nostre campagne di marketing erano dirette al consumatore praticamente al 100%, dato che ciò che proponevamo erano per noi essenzialmente prodotti di consumo, senza considerare il fatto che sia io che Massimo avevamo un background lavorativo di quel tipo.
Quali tipi di attività commerciali erano considerate le più importanti da Atari, i negozi di giocattoli o quelli di elettronica di consumo?
Entrambi. Le quattro persone che formavano il nostro gruppo di gestione vendite lavoravano con agenti sparsi per tutta l'Italia.
Prima delle creazione della filiale italiana di Atari nel 1983, c'erano due differenti società locali che si occupavano rispettivamente delle console per videogiochi (Melchioni) e degli home computer (Adveico). Ricordi qualcosa di questo passaggio, e che tipo di realtà hai trovato quando hai iniziato a studiare il nostro mercato locale?
Melchioni era il distributore più importante prima della fondazione di Atari Italy. L'Adveico era, credo, un "sub-distributore", nel senso che sebbene Atari avesse qualche relazione diretta con loro, il prodotto tecnicamente passava comunque attraverso Melchioni come "distributore principale". Però non sono sicuro al 100% di questa cosa, diciamo al 90%. In ogni caso, Melchioni era riuscita a far crescere il giro d'affari nel 1982 e nella parte iniziale del 1983, ma non abbastanza velocemente. Così Atari ha acquisito il loro inventario e in pratica ha assunto la gestione completa del business.
Il gruppo dirigenziale era composto da Massimo Ruosi come Direttore generale, Ernesto Zanzi come Direttore amministrativo, Vittorio Vitaletti come Direttore vendite, una persona di cui purtroppo non ricordo il cognome (Giorgio era il nome di battesimo) come Manager all'assistenza clienti e al supporto tecnico, infine il sottoscritto come Marketing manager.
Articolo pubblicato sul Desert Sun del 24 maggio 1983 |
Quindi la strategia di marketing di Atari Italy era stata costruita basandosi sul successo del VCS, oppure si voleva promuovere anche la linea di home computer a 8 bit?
Il nostro obiettivo principale nella seconda metà del 1983 e l'inizio del 1984 è stato senza dubbio la console per videogiochi (cioè il VCS) e il settore delle cartucce. La linea degli Home Computer era vista soprattutto come una futura opportunità di crescita, ma in quel momento NON era il nostro business principale. Certo, questo tipo di "divisione" tra due linee - console per videogiochi e PC - continua a esistere ancora oggi, dove per esempio la X-Box di Microsoft e la Playstation di Sony rappresentano le versioni attuali delle console dedicate di allora...
Il problema che aveva Atari NON riguardava il fatto che gli Home Computer stessero sostituendo le console nel mercato dei videogiochi; piuttosto, erano i principali prodotti di Atari nel settore (cioè il VCS e le cartucce) a non essere più competitivi a metà del 1984, quando Coleco e poi Nintendo diventarono dei giocatori chiave.
In particolare, Nintendo non aveva ancora lanciato la propria console in Europa, ma questo non era importante: sapevamo che sarebbe avvenuto, prima o poi, e che la sua superiorità competitiva sarebbe stata schiacciante sia rispetto sia al VCS, sia al sistema Mattel. Ed è proprio ciò che è successo, Nintendo è diventata la società dominante nel settore, durante la seconda parte degli anni Ottanta e nei Novanta.
Senz'altro anche la rapida crescita di Commodore rappresentava un problema, ma limitato soprattutto alla nostra divisione Home Computer.
Mi piacerebbe sapere come mai Atari non ha provato a promuovere la sua nuova console 5200 in Europa...
Ho lavorato su quel progetto per parecchi mesi, come Hardware Product Manager per Atari International (prima di arrivare in Italia), così sono stato molto deluso dalla sua cancellazione: purtroppo si trattava una console troppo costosa da fabbricare, quindi risultava poco competitiva sul mercato.
Il profilo di Bennet Goldberg pubblicato sul n. 1 di Computer Games (aprile 1984) |
Parlando dei settori di console e cartucce gioco, quali di questi due garantiva maggiori guadagni?
Entrambi erano redditizi, ma quello delle cartucce di più. Senz'altro si trattava del classico tipo di situazione "rasoio / lamette da barba", cioè in cui una singola console generava la possibilità di vendere una serie di cartucce; Atari, quindi, aveva sempre cercato di mantenere il prezzo della console relativamente accessibile.
Il tuo lavoro qui in Italia si è fermato quando Atari Inc. si è divisa ed è stata creata l'Atari Corp di Tramiel, così non ti sei mai occupato della linea di computer a 16 bit e così via, è corretto?
Sì, ho lasciato Atari Italy e la compagnia nel suo complesso nell'agosto del 1984, quando è stata rilevata da Jack Tramiel, ex-Commodore.
Dopo Atari sei rimasto nel settore dei videogiochi oppure hai deciso di cambiare?
Ho cambiato. Nel giro di pochi mesi sono tornato in California e già durante la metà del 1985 avevo iniziato a lavorare per Quantum, la società di hard disk. Sono stato là per oltre otto anni arrivando, come Vice President di Quantum International, a dirigere le loro intere attività di vendita e marketing per tutti i paesi del mondo, escluso il Nord America. Quando sono entrato a far parte di Quantum, si trattava di una società con 120 milioni di dollari di entrate... Quando l'ho lasciata, era passata a due miliardi di dollari.
Ho letto che hai lavorato anche nell'industria discografica (PickWick International) così, vorrei chiederti, secondo la tua esperienza, quali sono le principali somiglianze e differenze che esistono tra vendere videogiochi e vendere dischi.
Ci sono alcune somiglianze, in particolare la deperibilità e la breve durata del prodotto, oltre alla natura di questi due settori, basati entrambi su successi e insuccessi ("hits and misses"). Ci sono però anche molte differenze. I dischi erano venduti soprattutto attraverso le trasmissioni radiofoniche e, successivamente, con i video tipo MTV; i videogiochi, invece, erano venduti esattamente come i giocattoli e i prodotti di consumo, quindi con pesanti campagne pubblicitarie in televisione, completate dalla stampa.
Inoltre i dischi erano venduti indipendentemente dai giradischi, con strutture di proprietà separate e non collegate tra loro, a differenza delle console per videogiochi e le loro cartucce. (Ovviamente, poi si sono formate anche lì delle società indipendenti che realizzavano solo cartucce, come la Activision). L'industria discografica era un settore molto più maturo, con canali di distribuzione ben determinati e stabiliti, un settore che era esistito sin dagli anni Trenta e che era fiorito dopo la Seconda guerra mondiale. Il settore dei videogiochi di consumo in sostanza era stato invece inventato da Atari nel 1980-1981.
Andrea, io non smetterò mai di ringraziarti per il lavoro che fai. Sei un grande. Continua così
RispondiEliminaGrazie Simone! Si continua eccome, senza fermarsi mai!
EliminaBella intervista, grazie!
RispondiEliminaFantastico come sempre! Grazie
RispondiEliminaBellissima intervista, Andrea, grazie, davvero, per il tuo lavoro! Mi e` piaciuta moltissimo. Particolarmente interessante il commento relativo al fatto che la crisi in Italia non si e` percepita fino alla primavera dell'84. Concordo assolutamente. Avevo 21 anni, e finche' non e` uscito un articoletto su Videogiochi relativo all'uscita della Mattel dal mercato dei videogiochi ("Non gioco piu`, con un disegno di un ragazzino imbronciato su una sedia), direi nel giugno '84, non avevamo avuto percezione alcuna della crisi. Anche se compravo regolarmente riviste americane (dal novembre '82) non me n'ero comunque reso conto.
RispondiEliminaGrazie a tutti per i complimenti! In particolare, Simone, ricordo anche io molto bene quel periodo del 1984, perché in tutti i negozi dalle mie parti le cartucce per Intellivision erano diventate quasi impossibili da trovare, e quello che rimaneva di solito erano gli "scarti", giochi poco divertenti venduti a sconto (quale ragazzino avrebbe mai voluto il Backgammon??). Ho scoperto a posteriori che l'unica catena che continuò a proporre le novità Mattel era il gruppo Giraffa che, per mia sfortuna, nella mia città non c'era.
RispondiEliminaPermettimi di suggerirti di aggiungere due link chiarificatori, uno alla Young&Rubicam che è ancora tra le più importanti agenzie marketing al mondo (ma non necessariamente nota ai non-addetti ai lavori), l'altro nel punto in cui parla di rasoio e lamette perché si riferisce a questo: https://en.wikipedia.org/wiki/Razor_and_blades_model
RispondiEliminaCiao Fabrizio, la Y&R merita senz'altro un link al suo attuale sito, certo. Il business model descritto invece non aveva alcuna ulteriore spiegazione poiché, limitatamente al senso dell'intervista online, è chiarito dalla frase immediatamente successiva. Su cartaceo sarebbe invece utile una nota a piè di pagina. Non ci sono link sufficientemente chiari (e non commerciali) in italiano atti a spiegare l'amo e l'esca. Come politica generale ho deciso di non inserire più rimandi a Wikipedia e, a poco a poco, sto rimuovendo quelli già inseriti in passato (tempo permettendo).
EliminaÈ sempre bello ricascare sui tuoi articoli a distanza di anni. Google mi ha riproposto un viaggio in PachettiLandia. È un bel trip
RispondiEliminaGoogle è stato bravo :-) Ormai è vero che anche certi articoli da queste parti sono davvero diventati "vintage"... Per fortuna, visto l'argomento, non necessitano di aggiornamenti e sono ancora validi. Thanks for stopping by!
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